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I preti sposati della Chiesa cattolica italo - albanese nel sud Italia

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view post Posted on 28/11/2010, 13:09
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La Chiesa cattolica "italo-greca" (o "italo-bizantina", o "italo-albanese") è una delle 23 chiese cattoliche di rito orientale https://laici.forumcommunity.net/?t=42020571.

E presente sul territorio della Repubblica Italiana e i suoi appartenenti alla seguono il rito bizantino. La loro origine è legata all'emigrazione albanese tra il XV e il XVIII secolo nel Regno di Napoli e Siclia degli albanesi seguaci di Giorgio Castriota Scanderbeg, principe albanese che lottò vanamente contro i Turchi invasori.

I cattolici italo-bizantini sono organizzati in tre principali istituzioni ecclesiastiche territoriali, corrispondenti alle diocesi della chiesa cattolica:

* l'abbazia di Grottaferrata, nel Lazio, gestita dai monaci basiliani;
* l'eparchia di Lungro, tra la Calabria e la Basilicata, con due parrochie in provincia di Lecce e Pescara;
* l'eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia.

Conta 2 vescovi e circa 80 sacerdoti, di cui uno, Papàs Nicola Cuccia, è un prete sposato, come il suo predecessore, Papàs Gaspare Schirò

E' l'unica comunità di preti cattolici italiani che annovera preti sposati

www.vivereinarmonia.it/attualita/sp...el-parroco.aspx

La famiglia del parroco
Le comunità albanesi del Sud hanno riti antichi e i preti cattolici possono sposarsi


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Gli sposi, una volta incoronati con ramoscelli d'alloro, sono proclamati Re e Regina della nuova famiglia cristiana


Papàs Nicola Cuccia è un prete della Comunità cattolica italo-albanese che celebra la liturgia nel rito bizantino. Presso queste comunità cattoliche, presenti in Italia da cinque secoli, possono essere ordinati sacerdoti anche uomini sposati. Si tratta di un’antica tradizione, derivata dalla Chiesa ortodossa.

Papàs Nicola si è sposato nel 1984 con la signora Tania che ha sempre condiviso la sua vocazione sin dai tempi in cui Nicola aveva iniziato gli studi teologici presso il Collegio Greco di Roma, mentre Tania intraprendeva i suoi studi universitari a Palermo. Oggi vivono a Contessa Entellina (Palermo): lui è parroco della chiesa della Santissima Annunziata, lei lo segue nelle attività pastorali, canta nel coro in lingua greca e si occupa del catechismo dei bambini. Hanno una figlia di 17 anni, Angelica, che frequenta il quinto anno del liceo classico.

Papàs Nicola racconta la sua esperienza di prete sposato iniziando dalle origini, da quando intraprese gli studi in seminario: «La permanenza in seminario durò tre anni, il tempo necessario per finire la scuola media. Su pressante insistenza del rettore decisi di continuare gli studi presso il seminario Benedetto XV di Grottaferrata, retto dai monaci basiliani. Notai subito la diversa mentalità nell’affrontare le problematiche legate all’adolescenza. La conoscenza e la formazione della propria personalità, che passa anche attraverso la conoscenza del proprio corpo, capace di trovare un completamento nella conoscenza dell’altro sesso, erano un tabù che non doveva essere affrontato e forse neanche pensato. Il periodo estivo si trascorreva in famiglia e i nostri sacerdoti non si meravigliavano affatto delle nostre amicizie femminili, anzi qualcuno ci “apriva gli occhi e il cuore” a questa duplice possibilità di vocazione. L’ultima estate prima di rientrare in seminario conobbi la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie. Un intenso legame epistolare rafforzò il sentimento che ci legava».

Al termine degli esami di maturità il Rettore di solito chiamava gli alunni per consigliarli sull’eventuale continuazione degli studi presso il Collegio Greco di Roma, in vista dell’ordinazione. «Nel mio cuore avevo già deciso di continuare gli studi filosofici e teologici», racconta Papàs Nicola. «Entrai al Collegio Greco già fidanzato e non nascosi mai a nessuno degli alunni la mia relazione sentimentale, tranne che ai miei superiori monaci benedettini. Per ben cinque anni non affrontai mai il problema, forse per eccessivo timore. Ricordo il giorno in cui, con grande imbarazzo personale, dovetti chiedere al Rettore il permesso per poter partecipare alla laurea della mia fidanzata. Mi rispose con serenità spiazzante: “Finalmente mi parli della tua fidanzata! Certo che puoi andare!”. Da quel momento nel mio cuore si fece ancora più chiarezza circa la mia vocazione.

Il sacerdozio uxorato», spiega Papàs Nicola, «è un modo di concepire un dono di Dio in aggiunta o in un servizio diverso rispetto al clero celibatario, è uno stato di vita chiaramente inserito in un contesto teologico ben preciso, quale è la teologia della famiglia, che va a definire come una famiglia cristiana possa anche scegliere in maniera comune di poter servire la Chiesa in una forma diversa».

Gli abitanti di Contessa Entellina vivono con assoluta normalità la realtà che un sacerdote della chiesa cattolica orientale abbia una sua famiglia, in quanto rientra nella cultura religiosa del rito greco-bizantino. Contessa Entellina, inoltre, rispetto agli altri paesi dell’Eparchia (diocesi), ha avuto una tradizione costante di presenza del clero uxorato, almeno così è nella memoria: Papàs Gaspare Schirò è morto nel 1975 e Papàs Nicola è stato ordinato nel 1984, quindi c’è stata solamente un’interruzione di nove anni. «Tutti hanno conosciuto Papàs Gaspare», racconta Papàs Nicola: «quando eravamo bambini siamo cresciuti con la consapevolezza di cosa fosse un Papàs sposato, realtà conosciuta e inserita nel giusto equilibrio e armonia di vita familiare di tutti gli abitanti del paese. Papàs Gaspare abitava nella piazza antistante alla chiesa della Santissima Annunziata e, nei pomeriggi d’estate, usciva regolarmente in pantaloncini e maglietta: per noi bambini non c’era nulla di scandaloso».

Papàs Gaspare Schirò va ricordato anche per la sua particolare vicenda di prete sposato: negli anni Cinquanta, quando stava per concludere gli studi in seminario, chiese all’amministratore dell’Eparchia, il cardinale Ernesto Ruffini, di essere ammesso agli ordini sacri una volta celebrato il proprio matrimonio, ma, dopo ripetuti periodi di prova, solo con l’intervento di Papàs Lino Lo Jacono, sacerdote celibe e amico personale del vescovo, riuscì a strappare il consenso alle nozze e all’ordinazione. Il Concilio Vaticano II e, in particolare, la pubblicazione di documenti sulla “conservazione” o sull’eventuale “ripristino” della prassi cattolica orientale, offrirono un valido contributo all’acquisizione di una maggiore certezza circa il diritto di ogni seminarista a pensarsi sposo e sacerdote.

Papàs Nicola afferma di essere cresciuto con la convinzione che il Signore gli indicava la sua volontà chiamandolo alla particolare forma di sacerdozio uxorato. Tale convinzione era stata condivisa e attentamente vagliata dai superiori e dal vescovo, i quali hanno creduto normale procedere al matrimonio e alla sacra ordinazione nel 1984.

I sacerdoti sposati sono stati, tuttavia, e sono spesso oggetto di critiche, in quanto accusati di avere il cuore diviso tra Chiesa e famiglia, mentre i preti hanno il cuore indiviso, critiche a cui Papàs Nicola risponde così: «All’interno della coppia la santità è comunionale e non personale, la coppia deve risplendere come fidanzata di Cristo. Il Signore ha collocato corone incorruttibili su questo fidanzato di Gesù Cristo».

Il rituale bizantino del matrimonio e della sacra ordinazione prevede tre preghiere identiche (troparìe), cioè piccole preghiere per i sacerdoti e per gli sposi accompagnate dagli stessi canti, in cui viene chiesto sia agli sposi sia ai sacerdoti di essere martiri e testimoni dell’amore di Dio. La nuova coppia realizza il sacerdozio dentro la vita familiare, nella spiritualità della casa, e gli sposi diventano testimoni della poesia dell’amore.
Testi e foto di Andrea Curto

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Edited by GalileoGalilei - 30/11/2010, 12:15
 
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view post Posted on 1/3/2011, 18:22
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http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli...html?refresh_ce

Preti sposati, è crisi nelle comunità italo-albanesi
Le realtà cattoliche di rito bizantino in Italia sono tutte commissariate dalla Santa Sede: al loro interno, i sacerdoti hanno una compagna, come permesso dal diritto canonico orientale.
Preti sposati, è crisi nelle comunità italo-albanesi

La Città del Vaticano
ROMA - Attualmente sono tutte e tre "commissariate" dalla Santa Sede le realtà cattoliche di rito bizantino nel nostro Paese, due delle quali hanno nelle loro file preti sposati, come previsto dal diritto canonico orientale. L'eparchia di Lungro, in Calabria, è affidata a un amministratore apostolico, l'arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, l'eparchia di Piana degli Albanesi a un delegato apostolico, monsignor Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo di Foggia, dal quale dipende anche il monastero basiliano di Grottaferrata. La situazione delle comunità di rito orientale è molto preoccupante anche perché ci sono oggi in Italia tanti immigrati cattolici di rito greco: albanesi, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi che nella seconda metà del XIV secolo, incalzate dai turchi, emigrarono in Calabria e Sicilia, dove hanno cercato di mantenere vive le proprie tradizioni all'interno delle diocesi di rito latino fino a quando, nel 1919, la Santa Sede ha concesso l'istituzione della eparchia di Lungro, concedendo quindici anni dopo l'altra diocesi in Sicilia.

LE FRIZIONI NELLE COMUNITA' ITALO-ALBANESI. La lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici nelle comunità italo-albanesi e oggi c'è turbamento per il fatto che sia l'amministratore apostolico Nunnari che il delegato Tamburrino sono vescovi di rito latino. L'eparca di Lungro Ercole Lupinacci ha compiuto 75 anni nel novembre 2008 e per due anni si è tentato inutilmente di individuare un successore, impresa rivelatasi impossibile per l'esistenza di fazioni contrapposte nel clero locale, con conseguenti veti reciproci che si aggiungono alla difficoltà di scegliere in una rosa ristretta di candidati perché il diritto canonico esclude dall'episcopato i preti sposati che nell'eparchia sono invece la maggioranza.

"NECESSITA' DI RISOLVERE I PROBLEMI". "Sua Eccellenza Nunnari è persona degnissima e stimatissima, ma il suo incarico", hanno protestato amministratori e politici locali riuniti nel municipio di Lungro, "mette in discussione consolidate tradizioni e, per molti versi, l'identità stessa della comunità italo-albanese. Appare infatti incomprensibile che l'interim sia affidato a un vescovo di rito latino, colpendo duramente la sensibilità dell'intera comunità arbereshe. Con la semplicità propria di chi è all'oscuro dei sottili equilibri che regolano l'incedere della Chiesa nelle scelte di affidamento della pastorale, sentiamo l'obbligo morale di chiedere che si arrivi in tempi brevi alla nomina del nuovo vescovo, sentendosene viva esigenza".



www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubr...ne=524&sezione=

16/2/2011
In crisi i preti sposati

PRETI SPOSATI: IN CRISI IL RITO ORIENTALE IN CALABRIA E SICILIA

VATICANISTA DE LA STAMPA

Attualmente sono tutte e tre "commissariate" dalla Santa Sede le realta' cattoliche di rito bizantino del nostro Paese, due delle quali hanno nelle loro file preti sposati, come previsto dal diritto canonico orientale, documenta l'Agi. L'eparchia di Lungro, in Calabria, e' affidata ad un amministratore apostolico, l'arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari, l'eparchia di Piana degli Albanesi a un delegato apostolico, mons. Francesco Pio Tamburrino, arcivescovo di Foggia, dal quale dipende anche il monastero basiliano di Grottaferrata (i cui monaci sono ovviamente tenuti al celibato). La situazione delle comunita' di rito orientale e' molto preoccupante anche perche' ci sono oggi in Italia tanti immigrati cattolici di rito greco: albanesi, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi che nella seconda meta' del XIV secolo, incalzate dai turchi, emigrarono in Calabria e Sicilia, dove hanno cercato di mantenere vive le proprie tradizioni all'interno delle diocesi di rito latino fino a quando, nel 1919, la Santa Sede ha concesso l'erezione della eparchia di Lungro, concedendo 15 anni dopo l'altra diocesi in Sicilia. La lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici nelle comunita' italo-albanesi e oggi c'e' turbamento per il fatto che sia l'amministratore apostolico Nunnari che il delegato Tamburrino sono vescovi di rito latino. L'eparca di Lungro Ercole Lupinacci ha compiuto 75 anni nel novembre 2008 e per due anni si e' tentato inutilmente di individuare un successore, impresa rivelatasi impossibile per l'esistenza di fazioni contrapposte nel clero locale, con conseguenti veti reciproci che si aggiungono alla difficolta' di scegliere in una rosa ristretta di candidati perche' il diritto canonico esclude dall'episcopato i preti sposati che nell'eparchia sono invece la maggioranza. "Sua Eccellenza Nunnari e' persona degnissima e stimatissima, ma il suo incarico - hanno protestato amministratori e politici locali riuniti nel municipio di Lungro - mette in discussione consolidate tradizioni e, per molti versi, l'identita' stessa della comunita' italo albanese. Appare infatti incomprensibile che l'interim sia affidato ad un vescovo di rito latino, colpendo duramente la sensibilita' dell'intera comunita' arbereshe. Con la semplicita' propria di chi e' all'oscuro dei sottili equilibri che regolano l'incedere della Chiesa nelle scelte di affidamento della pastorale, sentiamo l'obbligo morale di chiedere che si arrivi in tempi brevi alla nomina del nuovo vescovo, sentendosene viva esigenza". Ancora piu' intricata la situazione della Chiesa italo-albanese in Sicilia. Gia' delegato apostolico per l'abbazia di Grottaferrata dal 1994, mons. Tamburrino ha assunto in giugno la giurisdizione anche sull'eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia, dove il 73enne vescovo Sotir Ferrara non riusciva piu' a tenere insieme i preti sposati e quelli celibi che dipendevano da lui (e si puo' ben immaginare che - date queste premesse - tra due anni sara' difficilissimo trovargli un successore). L'episodio piu' clamoroso risale all'anno scorso, quando in occasione del tradizionale rito della Paraclisis (un canto di lode alla "Madre di Dio") il parroco latino della Chiesa della Madonna della Favara a Contessa Entellina, don Mario Bellanca, aveva fatto trovare chiuso il portone della chiesa ai fedeli di rito greco, costringendoli a celebrare all'esterno. Per svelenire il clima, mons. Tamburrino ha deciso la rotazione di alcuni parroci ma trasferire i "papas", cosi' vengono chiamati i preti sposati, e' molto complicato. "Devo condividere con la mia famiglia sacerdotale questa decisione cosi' come ho condiviso con essa il mio presbiterato", ha risposto al delegato uno dei parroci trasferiti, papas Sepa Borzi', che era stato destinato proprio a Contessa Entellina. Mentre a San Nico di Cantinella, frazione di Corigliano, la cui comunita' e' stata staccata dalla parrocchia greco-cattolica di Cantinella e assegnata a quella latina, sono i fedeli a ribellarsi. "Senza rispetto per le nostre tradizioni spirituali - hanno scritto in un appello - veniamo di nuovo destinati alla completa latinizzazione, nonostante recenti scandali locali non del tutto estranei alla costruzione di una chiesa latina destinata alla nostra comunita' greco-albanese e all'abbandono spirituale nel quale si trovano i nuovi immigrati ortodossi residenti anche in nostri paesi arbereshe privi di clero ortodosso". Il riferimento e' in particolare alla comunita' greco-cattolica rumena presente in Italia (oltre mezzo milione di immigrati) che recentemente si e' vista respingere dalla Cei la richiesta di farsi seguire in Itaia da clero uxorato messo a disposizione dall'episcopato rumeno perche' non esisterebbe "la 'giusta e ragionevole causa' che giustifichi la concessione della dispensa" dalla legge ecclesiastica per la quale i preti sposati delle Chiese orientali non possono esercitare al di fuori del territorio storico della loro Chiesa: un limite contro cui hanno protestato anche i vescovi riuniti lo scorso ottobre in Vaticano per il Sinodo sul Medio Oriente. "La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l'accrescersi di presenza sacerdotali uxorate prevale infatti - ha spiegato in una lettera ai vescovi rumeni il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco - sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l'esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi". Recentemente un paio di sacerdoti italiani di rito orientale, stanchi dei contrasti, sono passati a chiese ortodosse, seguiti da gruppi di fedeli. Questo fatto rende particolarmente inquietante che l'appello dei fedeli di San Nico sia indirizzato nell'ordine "ai patriarchi di Mosca e di tutte le Russie, Romania, Bulgaria, agli arcivescovi di Atene e di tutta la Grecia, Tirana e di tutta l'Albania, di Ochrida e, per conoscenza, al Papa, a mons. Pio Tamburrino, metropolita di Foggia e visitatore apostolico di Piana degli Albanesi e a mons. Salvatore Nunnari, metropolita di Cosenza e amministratore apostolico di Lungro". Inseguito dai problemi dell'eparchia siciliana fino a Foggia, dove pulman di fedeli bizantini sono andati a protestare, mons. Tamburrino deve occuparsi anche dell'abbazia di Grottaferrata, definita da Pio XI "la fulgidissima gemma orientale incastonata nel diadema della Chiesa Romana". Sarebbe una fucina naturale per i vescovi di rito orientale, i quali dovendo essere celibi e ben preparati sono scelti spesso tra i monaci. Ma oggi, spiega l'archimandrita, padre Emiliano Fabbricatore, "gli unici monaci basiliani rimasti in Italia sono quelli che vivono nell'abbazia: in tutto siamo 12, tutti anziani e malati". Una possibile via d'uscita da queste difficolta' - come e' stato proposto nel 2005 fa al Sinodo Intereparchiale delle tre realta' bizantine italiane - sarebbe l'istituzione in Italia di un'unica prelatura per i fedeli di rito orientale, che certamente favorirebbe nuove vocazioni alla vita monastica e al sacerdozio (sia celibatario che uxorato).


Dall'articolista ci attendiamo un ulteriore intervento, che tenga conto dei rilievi mossi nei commenti di questa pagina e soprattutto della circostanza poco avveduta del Vaticano (Congregazione Chiese Orientali) che tiene "commissariate" tre realtà cattolico-bizantine come fossero tutte rimbecillite. L'articolista potrebbe, perdoni la pretesa, chiedere una intervista al cardinale Sandri per esplorare se voglia respingere verso l'Ortodossia le tre realtà, oggi cattoliche.
scritto da Crispi 27/2/2011 16:7

Proprio non capisco cosa leghi il titolo dell'articolo con il contenuto. Forse l'intenzione è stata quella di infilare (come cavolo a merenda) la questione "preti sposati" per attirare un pò di "audience". Però scrivere per un giornale come LA STAMPA implicherebbe un pò di maggiore prudenza. In Sicilia non esiste alcuna divaricazione fra clero sposato e clero sposato, fra clero latino e clero bizantino. Nell'Agosto del 2009 un prete latino ha ritenuto di chiudere il portone della sua chiesa ai greco-bizantini per questioni di "preteso orgoglio personale". Ma l'episodio non ha nulla a che spartire nè con preti sposati nè con clero celibe. Esiste un problema serio: la Curia Romana vive momenti di incertezze e paura perchè il mondo cambia e le varie realtà non si riesce a governarle con l'assolutismo immotivato. Commissariare per mesi, anni e decenni delle realtà, mettendo alla loro guida prelati impreparati su un terreno che non sia l'interpretazione "latina" è segno della confusione cher, purtroppo, c'è a Roma. Il Cardinale Sandri commetterebbe un grave errore se dal "Commissariamento" punta alla soppressione dell'autonomia delle tre realtà. Nel 2011 la gente ragiona, al contrario della Curia, senza avere paura. Altro è quindi la materia che l'articolista dovrebbe, se gli va, affrontare. Pasquale
scritto da pasquale 20/2/2011 18:24

L'autore dovrebbe piuttosto titolare "Le eparchie italo-albanesi commissiariate in rivolta contro il Vaticano" piuttosto che riportare la falsa notizia dei preti sposati in crisi. Il clero uxorato sta benissimo ma questo a Roma non piace.
scritto da Demetrio 20/2/2011 15:52

sedicente vaticanista che scrive di cose che non sa di cosa sta parlando....complimenti al quotidiano la stampa!!
scritto da giuseppe ferrara 18/2/2011 18:00

L'analisi sullo stato delle due eparchie albanofone e del monastero di grottaferrata è esatta: sono in crisi. Purtroppo la causa di tale crisi non è il sacerdozio uxorato il quale è vissuto dalle comunità di rito orientale con naturalezza. In merito ai presunti conflitti tra clero sposato e celibe non risulta anche perchè il diritto canonico prevede che l'elevazione alla cattedra episcopale è riservata solo al clero celibe. Il tentativo di sradicamento dell'elemento orientale nelle comunità albanofone è una tentazione che solletica la Chiesa Romana. Mi auguro che le ragioni dei commissariamenti siano da ascrivere a malversazioni locali dei dirigenti delle eparchie piuttosto che come un tentativo ultimo di porre fine alla secolare presenza della chiesa bizantina in Italia.
scritto da atanasio 18/2/2011 17:56

Un giornalista professionista e specializzato in uno specifico settore dovrebbe informarsi prima di scrivere baggianate e commettere errori grossolani. E' chiaro che l'equazione preti sposati== Comunità in crisi è totalmente sbagliata. Dovrebbe informarsi sul reale stato di cose e, in seconda battuta, fare un accurato studio delle comunità cristiane di rito orientale dove, pur non vigendo il celibato dei preti, la crisi da lei dipinta non si sente. Si vergogni.
scritto da Giuseppe 18/2/2011 14:49

Ma quale ultimo tabu'! Il celibato o e' cosa da culattoni o e' una stronzata (ah, dimenticavo i pochi mistici ed asceti...).
scritto da massenzio 17/2/2011 20:24

Ho scritto "Ultimo tabù" sul celibato...
scritto da Giacomo Galeazzi 17/2/2011 20:14

Complimenti per il titolo falso e tendenzioso. Bel modo di fare il giornalista.
scritto da webmin 17/2/2011 19:35

E' esattamente quello che percepisco anch'io. Ma i reggitori del Supremo Ordine del Celibato l'han forse corrotta, dr. Galeazzi?
scritto da massenzio 17/2/2011 18:43


Lei, dr. Galeazzi, usa un titolo falso e fuorviante. Dalla lettura io percepisco solo la prepotenza della Chiesa latina.....
scritto da pinetu 16/2/2011 21:36

Caro Galeazzi mi pare il suo un titolo falso e tendenzioso. Nell' articolo si dice dell' ostruzionismo della Chiesa latina, anzi della CEI (e del Vaticano, che sta dietro) contro i greco-cattolici solo perchè i preti cattolici di rito greco sono sposati. Per la CEI e il Vaticano i preti sposati sono un incubo. Per favore sia più corretto nella titolazione, non c' è nessuna crisi per i preti sposati.
scritto da Giuseppe 16/2/2011 21:19
 
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view post Posted on 21/3/2011, 20:33




scusate la situazione che sta a traversando l'eparchia di piana e quella di calabbria non sono i prelati sposati si vuole coprire la situazione che c'e' crisi dei prelati celibi ma c'e' qualcosa di molto grooso sotto che non sappiamo, a parer mio la questione si potrebbe risolvere semplicemente che le tre circoiscrizioni si raggruppassero fra loro sotto un vescovo bizzantino e i fedeli di rito latino di cui sono stati affidati 51 anni fa sotto la guida ad un vesco bizzantino e' giusto che siano affidati ad un vescovo latino, io capisco che i frattelli bizzantini non sopportano essere guidati da vescovi latini ma fino ora le parrocchie bizzantine hanno fatto e si sono latinizate vedi processioni con statue prelati che celebrano in rito romano non vedo il probblema dove sta anzi il probblema l'anno avuto i latini che si vedono sottomessi e privati delle loro tradizioni sempre all'ubbiedienza al vescovo e a subbire ebbene che si sappia che i fedeli di to latino hanop lottato e continuano a lottare per una separazione per un quieto vivere nella diversita di rito come da innumerevoli messive inviate al vaticano articoli sui giornali effettuati dal famoso decreto del 1960 purtropppo la verita' che entrambi i riti non posso coinvirer assieme e i latini rivendicano da sempre la loro appartenenza latina da cinquantanni e sarrebbe l'ora di avere questo diritto perche si e' parte integrante di questa eparchia vedesi sinodo a grottaferrata che il problema e stato affrontato e' poi aggirato i latini in questi condizioni si sentono figli di un Dio minore

coord91 saluti
 
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view post Posted on 21/3/2011, 21:12





la situazione che sta traversando l'eparchia di piana e quella di calabbria non sono i prelati sposati si vuole coprire la situazione che c'e' crisi dei prelati celibi ma c'e' qualcosa di molto grooso sotto che non sappiamo, a parer mio la questione si potrebbe risolvere semplicemente che le tre circoiscrizioni si raggruppassero fra loro sotto un vescovo bizzantino e i fedeli di rito latino di cui sono stati affidati 51 anni fa sotto la guida ad un vesco bizzantino e' giusto che siano affidati ad un vescovo latino, io capisco che i frattelli bizzantini non sopportano essere guidati da vescovi latini ma fino ora le parrocchie bizzantine cosa hanno fatto e si sono latinizate vedi processioni con statue prelati che celebrano in rito romano non vedo il probblema dove sta anzi il probblema e solo per i latini che si vedono sottomessi e privati delle loro tradizioni e a subbire ebbene che si sappia che i fedeli di rito latino hanno lottato e continuano a lottare per una separazione per un quieto vivere nella diversita di rito come da innumerevoli messive inviate al vaticano articoli sui giornali effettuati dal famoso decreto del 1960 che sono affidati ad un eparca purtropppo la verita' che entrambi i riti non posso coinvirer i latini rivendicano da sempre la loro appartenenza al proprio rito da cinquantanni e sarrebbe l'ora di avere questo diritto perche non sentono parte integrante di questa eparchia anche al sinodo di grottaferrata che il problema e stato affrontato e' poi aggirato per non portelo risolvere i latini in questi condizioni si sentono figli di un Dio minore

messaggio precedente inviato vi erano errori di battitura
coord91 saluti

 
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view post Posted on 22/3/2011, 10:23
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Ma a scuola non i insegna più la punteggiatura e l'ortografia? O a 20 anni ci si scorda di quello che si è studiato a 10?

"Bizantino" e "subire" si scrivono con una sola z e b. Grottaferrata, essendo il nome di una diocesi, oltre che di una città, si scrive in maiuscolo. Così come le iniziali.

Comunque le eparchie hanno quasi un secolo di vita e nascono da una esigenza molto profonda, che è quella di conservare le tradizioni liturgiche, linguistiche e culturali arbereshe.

Ricordiamo che le origini sono nell'immigrazione albanese dal secolo XV in poi nel Regno di Napoli.

I preti di rito greco originariamente erano ortodossi, non cattolici, convertitisi al cattolicesimo perché ormai operanti in un paese cattolico.

Ora sembra ben strano che dal Vaticano non si voglia più riconoscere questa specificità e si fa governare le eparchie da vescovi latini. Lo scopo non dichiarato di assimilarli culturalmente e liturgicamente è evidente. E' quello che hanno tentato di fare in mezzo millennio i vescovi di Cosenza, Palermo e Monreale, considerandoli sempre come preti di una chiesa minore, una specie di membri di una setta eretica da assimilare.

Possibile che non si trovino più preti adatti a fare i vescovi - eparchi e a riconoscere la capacità di autoorganizzazione delle diocesi di rito greco in Italia? No, non è possibile se non per attuare un disegno di sterminio culturale.

Edited by pincopallino1 - 24/4/2023, 04:42
 
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view post Posted on 25/3/2011, 17:54




ti sono grato, sai mi mancava un'insegnante ora sono molto sicuro che qualcuno correge gli errori grammaticali quando a scuola ci sono insegnanti che non sanno fare la O con il bicchiere, ma e' importante far capiere il concetto.
vuoi o non vuoi la situazione e' molto piu' grave di come la pensi e sarebbe meglio che le tre circoscrizioni siano dirette da vescovi latini, in sicilia alcuni papas aizzano i fedeli contro fedeli latini per processioni che dovrebbero effettuarsi secondo liturgia "vedi venerdi santo che voglion effettuarlo con le statue". ma come si fa a parlare di tradizioni di rito quando vi siete latinizati questa e la reata dei fatti.
 
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view post Posted on 20/5/2011, 11:48




amico perché non hai convalidato il messaggio inviato il 25/03/20011 forse la verità fa male e non si vuole far sapere gli intrallazzi che vi sono sotto forse bisogna veramente un maestro che insegna a non sopraffare il prossimo e avere un briciolo di umiltà la storia pur troppo non si può cambiare e i fatti ormai sono evidenti e inutile nascondersi dietro un cola pasta le diocesi sono collassati anche economicamente . comunque rimango dell'idea che il rito bizantino si è latinizzato per cui non bisogna insistere che sono attaccati alle tradizioni quali?
 
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view post Posted on 20/5/2011, 11:55
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Boh! Non so niente di questo messaggio non convalidato. Onestamente non so nemmeno come si convalidano i messaggi. Rispediscilo se lo hai conservato. Se non ci riesci mandalo con messaggio privato e lo inserisco per te.
 
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view post Posted on 4/6/2013, 05:45
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http://www.ilvaticanista.it/2013/04/09/pre...iche-in-italia/

Preti sposati - le eparchie greco-cattoliche in Italia

News

Da anni, parte dell’opinione pubblica, così come alcune correnti di pensiero (anche interne alla Chiesa) invocano la fine dell’obbligo del celibato per i sacerdoti cattolici.


L’idea è che la crisi vocazionale (ma secondo alcuni anche lo scandalo pedofilia) sia in parte dovuto all’obbligo del celibato, che (secondo alcuni) sarebbe talmenteinnaturale da risultare inaccettabile per la maggior parte dei fedeli, provocando quindi la crisi vocazionale e (in alcuni casi) squilibri psicofisici tali da generare i disordini che poi sfociano nella pedofilia.


Nei primi secoli di storia della Chiesa, i sacerdoti non avevano l’obbligo del celibato, persino San Pietro pare fosse (o quanto meno fosse stato) sposato, visto che nei Vangeli si parla esplicitamente del miracolo con il quale Gesù guarì sua suocera (Mt. 8, 14-15).


Dal IV secolo d.C. (per la prima volta nel Concilio di Elvira, in Spagna) la Chiesa cominciò ad affermare la necessità del celibato sacerdotale, affermandolo definitivamente con il Concilio di Trento e successivamente inserendolo nel Codice di Diritto Canonico.


Allo stesso tempo, la Chiesa d’Oriente ha continuato a ritenere il celibato sacerdotale non necessario, tanto che, ancora oggi, sia le Chiese Ortodosse, sia quelle Greco-Cattoliche ammettono all’ordinazione sacerdotale uomini sposati (ma non ammettono che uomini ordinati contraggano matrimonio), anche se non permettano che questi siano successivamente ordinati vescovi.

Ebbene, anche in Italia ci sono tre distinte realtà di rito greco: l’Abbazia di Grottaferrata (ai Castelli Romani, i cui monaci sono tuttavia tenuti al celibato) e le eparchie (l’equivalente greco di diocesi) di Lungro (in Calabria) e di Piana degli Albanesi (in Sicilia).


Queste realtà contano circa 80.000 fedeli e un’ottantina di sacerdoti, la maggior parte dei quali sposati.


Negli ultimi anni, tuttavia, la situazione in queste eparchie è diventata complessa, e si sono resi necessari “commissariamenti” da parte della Santa Sede.


L’Eparchia di Lungro, dal 2010 al 2012 è stata gestita da S.E. Salvatore Nunnari (Arcivescovo di Cosenza) in qualità di Amministratore Apostolico sede vacante ad nutum Sanctae Sedis, in quanto non era possibile identificare un successore per l’Eparca Ettore Lupinacci, dimessosi per limiti d’età.


Le difficoltà nascevano dai veti incrociati tra clero greco e clero latino, vista anche la coesistenza territoriale tra i due (ad esempio, a Cosenza, esiste una “parrocchia personale” che dipende dall’Eparchia di Lungro, nonostante la Diocesi di Cosenza sia di rito latino).



La situazione si è sbloccata solo nel 2012, con la nomina dell’Eparca Donato Oliverio. Ci risulta quindi che quanto riportato in questi giorni (sul fatto che tutte e due le diocesi siano attualmente "commissariate") non sia corretto, in quanto l’incarico di Mons. Nunnari comme Amministratore Apostolico dovrebbe essersi concluso.

Per evitare anni di Sede Vacante, poichè la situazione si era fatta tesa anche nell’Eparchia di Piana degli Albanesi (sempre a causa dei rapporti tesi tra clero sposato e celibe, tra sacerdoti latini e greci), Benedetto XVI aveva nominato S.E. Mons. Francesco Pio Tamburrino (Arcivescovo di Foggia) come Delegato Apostolico, vista la sua precedente esperienza come Delegato Apostolico presso l’Abbazia di Grottaferrata nel 1994.


Anche a Piana, i rapporti tra clero greco e clero latino si sono fatti tesi (anche per via della convivenza dei due riti nellaParrocchia di Maria Santissima della Favara sita nel Comune di Contessa Ermellina, parrocchia di rito latino, ma nella quale i greci sono soliti cantare in agosto, quotidianamente per 15 giorni la Paraclisis alla Vergine Maria).


Ebbene, nell’agosto del 2009 i greci furono costretti a cantare la Paraclisis all’esterno della parrocchia, in quanto il parroco di rito latino fece loro trovare il portone chiuso.


Tra gli strumenti proposti da Mons. Tamburrino per alleggerire la tensione c’era il trasferimento di alcuni Papas (sacerdoti greci) ad altre parrocchie; purtroppo però questa scelta non ha fatto altro che irrigidire ulteriormente le posizioni, visto che il clero uxorato deve condividere con i familiari sia la decisione relativa all’ordinazione sacerdotale sia eventuali trasferimenti.


Il risultato è che ieri, dopo aver accettato la rinuncia dell’Eparca Sotir Ferrara, il Santo Padre Francesco è stato costretto a nominare (nell’attesa di individuare un successore) un Amministratore Apostolico sede vacante ad nutum Sanctae Sedis nella persona del Cardinale Arcivescovo di Palermo Paolo Romeo.


Nella speranza che le Eparchie greco cattoliche d’Italia possano presto ritrovare la serenità necessaria, abbiamo ritenuto scrivere queste righe, anche per ricordare l’esistenza di queste realtà particolarissime che vivono nel cuore dell'Italia latina.



ilVaticanista
 
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lunedì 5 agosto 2013
Aspettando il nuovo Eparca (n. 20)
Papa Francesco a Buenos Aires oltre che arcivescovo della diocesi di rito romano era anche ordinario per i fedeli di rito orientale.
Egli conosce molto bene sia la liturgia che la spiritualità bizantina. L'auspicio quindi è che si possano fare passi avanti in direzione dell'Ecumenismo.
Una cosa è certa. Papa Borgoglio conosce la tradizione del Cristianesimo Orientale e in quella direzione potrebbe trovare le soluzioni ai parecchi problemi che travagliano la Chiesa d'Occidente. In questi problemi rientrano le tematiche sui divorziati e quelle sul celibato dei preti.

-Divorziati
Tornando in aereo dal Brasile e intrattenendosi sull'aereo con i giornalisti ebbe, fra l'altro, a dire:
« I divorziati possono fare la comunione, sono i divorziati in seconda unione che non possono. Bisogna guardare al tema nella totalità della pastorale matrimoniale. Apro una parentesi: gli ortodossi ad esempio seguono la teologia dell'economia e permettono una seconda unione. Quando si riunirà il gruppo degli otto cardinali, nei primi tre giorni di ottobre, tratteremo come andare avanti nella pastorale matrimoniale. Siamo in un cammino per una pastorale matrimoniale più profonda. Il mio predecessore a Buenos Aires, il cardinale Quarracino diceva sempre: "Per me la metà dei matrimoni sono nulli, perché si sposano senza sapere che è per sempre, perché lo fanno per convenienza sociale, etc...". Anche il tema della nullità si deve studiare».
-Celibato dei prete
PRETI CELIBI E PRETI SPOSATIIl Codice di diritto canonico per le chiese orientali prevede ufficialmente la possibilità dell’ordinazione presbiterale per uomini sposati, e la prevede non come prassi eccezionale, ma come prassi normale. Il CCEO promulgato nel 1990 è stato una creazione ex novo per porre un argine alla persistente tendenza di ‘latinizzazione’, che somigliava, anzi tuttora somiglia tanto all'imperialismo cattolico-latino sulle altre comunità ecclesiali cattoliche.
Giovanni Paolo II, dunque promulgando questo secondo codice per le chiese orientali ha assicurato di fatto l’esistenza, salvaguardandola per il futuro, del sacerdote sposato anche all’interno della stessa Chiesa Cattolica. Di questa importante circostanza all'interno della Chiesa Cattolica esiste purtroppo una sorta di intesa tacita che punta a non parlarne, ad ignorarne l'esistenza.
Si sottace -per questa via- come a Piana degli Albanesi Papas Janni Pecoraro, prete sposato, sia Vicario dell'Eparchia o ancora come Papas Nicola Cuccia, prete sposato, sia parroco della Concattedrale della Chiesa della Martorana. In questo si coglie la debolezza della struttura ecclesiale di Piana degli Albanesi a far conoscere oltre il proprio territorio un approccio al Cristianesimo che risale ai primi secoli dell'era cristiana.
Ecco che una speranza di far conoscere le peculiarità sia liturgiche che di prassi di vita cristiana dell'Oriente Cristiano arriva dalla massiccia immigrazione di lavoratori dell'Europa dell'Est (Rumeni, Bulgari etc) da paesi tradizionalmente ortodossi e dove coesistono anche ‘Chiese Cattoliche di Rito Orientale’
Gli immigrati di queste chiese hanno diritto di mantenere qui le loro tradizioni culturali e soprattutto la forma religiosa della loro fede. Dunque saranno essi a portarci in casa, in Italia, il sacerdote cattolico sposato. Se la chiesa cattolica di rito latino non ha voluto sino ad ora prendere in considerazione la possibilità del prete coniugato, dovrà farlo per esigenza di forza maggiore a causa della presenza sempre più numerosa di preti cattolici sposati di origine est-europea.
Sarà la loro presenza a cambiare l’immaginario collettivo e questo cambiamento di immaginario collettivo potrebbe porre le basi per un cambiamento della legge del celibato ecclesiastico nella chiesa latina.

E' noto che il Vaticano, o meglio, che il Cardinale Bertone abbia posto dei limiti ai vescovi delle Chiese Orientali Cattoliche nell'inviare in Occidente, al seguito degli emigranti, preti sposati.
Va tuttavia tenuto presente che il Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente, tenutosi dal 10 al 24 ottobre 2010 ha espressamente dichiarato: «Il celibato ecclesiastico è stimato e apprezzato sempre e dovunque nella Chiesa Cattolica, in Oriente come in Occidente. Tuttavia, per assicurare un servizio pastorale in favore dei nostri fedeli, dovunque essi vadano, e per rispettare le tradizioni orientali, sarebbe auspicabile studiare la possibilità di avere preti sposati fuori dai territori patriarcali»
Bertone teme che i preti cattolici sposati possano provocare “scandalo”: se loro esercitano legittimamente il loro ministero dentro la Chiesa Cattolica pur essendo sposati – potrebbero infatti pensare i fedeli e il clero di rito latino – perché non lo possono essere tutti i preti?
È chiaro che la posizione del cardinal Bagnasco è una battaglia di retroguardia, esprime solo lo smarrimento di certo alto clero cattolico destinato ad essere, prima o dopo sconfitto.
La realtà matrimoniale non toglie proprio nulla alla serietà e alla spiritualità della persona. Di questo verosimilmente potrebbe esserne convinto pure Papa Francesco.

Noi condividiamo l'ipotesi circolata qualche tempo fa secondo cui accanto alle due Eparchie della Chiesa Italo-Albanese (Lungro e Piana degli Albanesi) possa essere istituita una ulteriore Eparchia per gli Italo-Albanesi del Nord Italia e soprattutto per i cattolico-orientali rumeni, serbi, bulgari etc. e che possa pertanto, per questa via, nascere la Metropolia della Chiesa bizantina italiana.
Sarà essa l'opportunità che farà crescere e proiettare sul territorio nazionale l'approccio bizantino al Cristianesimo, che ovviamente non sta solamente nella figura del prete sposato o nell'opportunità di un secondo matrimonio in casi specifici.


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Pure per il prete sposato palermitano di rito bizantino la pedofilia è colpa della perversione della società. a non ci spiega perché il 2% dei preti sono pedofili. Simili percentuali non si riscontrano tra i non preti

www.repubblica.it/esteri/2014/07/14...edeli-91518038/


Papas Jani Pecoraro: "Io, prete sposato e padre, riesco a capire meglio i problemi dei fedeli"

Parla un sacerdote cattolico sposato: "Noi di rito orientale possiamo prendere i voti dopo le nozze. Giusto che Francesco ascolti il sentire del popolo"
di ALESSANDRA ZINITI
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14 luglio 2014
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Papas Jani Pecoraro: "Io, prete sposato e padre, riesco a capire meglio i problemi dei fedeli"Papas Jani Pecoraro
PALERMO. "Il celibato dei sacerdoti è una tradizione, non è un dogma. Se, come dice papa Francesco, ci deve essere un "sensus", un sentire della fede del popolo, forse è ora di dargli più ascolto. Perché c'è tanta gente che dice: "È un bene che anche i preti possano essere sposati"".

Papas Jani Pecoraro è uno di loro, un prete cattolico sposato, uno di quelli di rito greco- bizantino all'interno della grande casa della Chiesa cattolica. "Io sono un sacerdote cattolico a tutti gli effetti - spiega - ho una moglie, due figlie e vivo con grande serenità e normalità la mia vocazione e il mio lavoro".

Che, in questo momento, è pure di grande responsabilità visto che, dopo il "commissariamento" dell'eparchia di Piana degli Albanesi da parte di Papa Bergoglio, papas Jani Pecoraro è il vicario della cattedrale di Piana degli Albanesi, l'enclave di origine greco-albanese a pochi chilometri da Palermo.

Papas Pecoraro, il Pontefice pensa ad una soluzione al problema del celibato dei sacerdoti.
"Ben venga questa che mi sembra una bella apertura nei confronti di una questione che potrebbe cambiare i rapporti della Chiesa cattolica non solo con il mondo laico ma anche con le altre chiese. Bisogna leggere i segni dei tempi e non c'è dubbio che oggi la società ci pone davanti a situazioni che un sacerdote sposato potrebbe affrontare sicuramente meglio".

Lei, ad esempio, come vive il suo sacerdozio con una famiglia normale che l'aspetta a casa?
"Appunto, con assoluta normalità. Mia moglie è impiegata al Comune di Palermo, ho due figlie di 15 e 19 anni che frequentano il liceo e non c'è dubbio che l'esperienza della quotidianità della mia vita familiare e di relazione, le problematiche genitoriali, mi danno un bagaglio di esperienza prezioso per affrontare con realismo il mio sacerdozio e l'approccio con i nostri fedeli. Perché poi, non è che la gente che ci conosce e ci segue vede noi sacerdoti sposati in modo diverso da quelli celibi".

Lei crede che senza l'obbligo del celibato, il problema della pedofilia nel clero potrebbe essere più circoscritto?
"Non vedo un collegamento diretto. La causa di questo scandalo è la società sempre più libertina che investe tutte le sue componenti, purtroppo anche la Chiesa. Certo, il prete celibe sente probabilmente una carenza affettiva e una incompletezza che può indurre a queste orribili pratiche".

Lei da quanti anni è sacerdote, marito e padre?
"Io ho 53 anni, mi sono sposato a 30, poi ho fatto tre anni di seminario e nel 96 sono diventato sacerdote. Il codice di diritto canonico per le chiese orientali promulgato nel 1990 da Giovanni Paolo II prevede che prima ci si sposi e poi si prendano i voti. E io mi sto avvicinando, con totale soddisfazione, ai vent'anni di sacerdozio. In Sicilia siamo quattro o cinque i preti sposati. Penso che se dovesse cadere l'obbligo del celibato per i sacerdoti di rito latino saremmo molti di più".

Edited by GalileoGalilei - 7/9/2016, 10:29
 
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Ok ai preti uxorati, cioè sposati
In altri paesi è stato facile. Riserve, per ora, in Italia


Sacerdoti cattolici sposati pure in Italia? L' eventualità era apparsa qualche settimana addietro, ma ora resta oltremodo aleatoria.
Chiariamo: ci si riferisce non ai preti della chiesa latina, bensì a quelli appartenenti alle chiese cattoliche dei numerosi riti orientali, come caldei, ucraini, melkiti, copti, maroniti ecc. Si tratta di oltre venti diverse chiese, che potremmo sinteticamente (e scorrettamente, sotto il profilo canonico) definire ortodosse però in comunione con il vescovo di Roma.
Tutte, tranne due (siromalankaresi e siro malabaresi, diffuse in India), ammettono sacerdoti sposati.
Ordinano, cioè, persone legate da matrimonio; non consentono, invece, il matrimonio a chi sia già ordinato prete; inoltre, non consacrano Vescovi sposati.
Fin quando queste chiese avevano fedeli nell' Europa orientale, nell'Africa settentrionale, soprattutto in quello che, applicando il linguaggio dell' antica diplomazia britannica, continuiamo a definire Medio Oriente, non si ponevano problemi di contiguità con i sacerdoti cattolici latini, tutti celibi. L'emigrazione, però, avviata già nel tardo Ottocento verso gli Stati Uniti, provocò interventi dei vescovi latini e poi della S. Sede, che proibì la presenza di sacerdoti uxorati (tale la definizione corrente nel linguaggio ecclesiastico) fuori dei territori originali delle chiese cattoliche orientali. Il superamento di tali divieti era stato annunciato dal cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le chiese orientali: ne aveva dato notizia L' Osservatore Romano il 27 ottobre. Appariva così forse possibile la presenza di sacerdoti sposati in Italia.
Fin quando queste chiese avevano fedeli nell' Europa orientale, nell'Africa settentrionale, soprattutto in quello che, applicando il linguaggio dell' antica diplomazia britannica, continuiamo a definire Medio Oriente, non si
Adesso gli Acta Apostolicae Sedis (la gazzetta ufficiale della S. Sede) hanno pubblicato i «Pontificia Praecepta de Clero Uxorato Orientali», ossia le disposizioni per consentire che, fuori dei territori tradizionali di tali chiese, possano operare preti sposati. Le nuove norme affidano la facoltà di «consentire il servizio pastorale del clero uxorato orientale» ai «gerarchi orientali», con il solo «obbligo di informare previamente per iscritto il vescovo latino di residenza del candidato» prete.
In Italia, però, non esistono circoscrizioni amministrative di chiese orientali. Non c' è, per esempio, un vescovo della chiesa cattolica rumena, che pure oggi nella penisola conta decine di migliaia di fedeli e un certo numero di sacerdoti (celibi). Quindi, se in qualche diocesi italiana arrivasse la richiesta di avere

un prete cattolico orientale uxorato, la decisione dovrebbe essere assunta dalla Congregazione per le chiese orientali, che però (attenzione) la eserciterebbe solo «in casi concreti ed eccezionali».
La consolidata opposizione dei vescovi latini alla presenza di sacerdoti cattolici sposati è sempre stata motivata dal cattivo esempio (chiamiamolo così per farci capire) fornito nei confronti dei propri preti celibi. È da ritenere che le nuove norme permetteranno una diffusa presenza di preti sposati, cattolici di riti orientali, in Canada, Stati Uniti, America Latina, Australia, ove esistono molte diocesi orientali, e anche in qualche paese europeo, come la Francia, ove del pari sono state costituite strutture orientali.
In Italia, salva restando la possibilità di eccezioni concessa dalla Congregazione vaticana, continueranno quindi a legittimamente (sotto il profilo del diritto canonico) operare i pochi sacerdoti italoalbanesi uxorati. Si contano al più con le due mani e dipendono dalle eparchie degli italoalbanesi: Lungro, in Calabria, e Piana degli Albanesi, in Sicilia. Già oggi, in qualche comune convivono il sacerdote cattolico latino, celibe, e il sacerdote cattolico italoalbanese, sposato. Arriveranno dalla S. Sede identiche possibilità per il sacerdote cattolico rumeno, copto, maronita, ucraino, caldeo ecc.?
MARCO BERTONCIN
Pubblicato da il contessioto (responsabile: Mimmo Clesi) a 16:07


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http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351368

Ecumenici fuori casa. Ma dentro sono botte
Grandi sorrisi con Costantinopoli e Mosca. Mano pesante invece con le oasi bizantine in Occidente. I casi emblematici delle diocesi italo-albanesi e del monastero di Grottaferrata

di Sandro Magister





ROMA, 6 settembre 2016 – "Ad extra" l'ecumenismo è sempre più sulla cresta dell'onda, forte dei gesti di riguardo del papa per le Chiese orientali, da Costantinopoli a Mosca.

Ma dentro casa l'ecumenismo latita. Un colpo dopo l'altro, la congregazione vaticana per le Chiese orientali non fa che dissipare quel che resta di importanti diocesi e istituzioni di rito cattolico bizantino, invece che rafforzare la loro identità.

Governa la congregazione il cardinale argentino Leonardo Sandri, cresciuto in segreteria di Stato e coadiuvato dal gesuita Cyril Vasil, segretario, e dal domenicano Lorenzo Lorusso, sottosegretario, entrambi canonisti e appartenenti a due ordini religiosi che di orientale non hanno nulla.

E gli effetti si vedono. Questo sito ha già dato ampiamente notizia dello schiaffo inflitto da Roma alla Chiesa ortodossa greca lo scorso inverno, con la nomina ad esarca apostolico di Atene di Manuel Nin, catalano, monaco benedettino, dunque un latino in abiti bizantini, già rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma, cioè di quella che agli occhi dei greci è pur sempre l’esecrata istituzione fondata nel 1577 per preparare i missionari cattolici da inviare nell'Ellade a convertire gli ortodossi:

> Notizie dal fronte orientale. A Creta il concilio panortodosso, mentre ad Atene…

E tre mesi prima c'era stata la nomina a presidente della commissione speciale per la liturgia presso la congregazione per le Chiese orientali di un liturgista che sui riti d'Oriente non ha mai avuto alcuna competenza: Piero Marini, già grande cerimoniere di Giovanni Paolo II e discepolo di quell'Annibale Bugnini che tutti ritengono – a favore o contro – il vero artefice delle riforme liturgiche postconciliari della Chiesa latina:

> Piero Marini, prefetto mancato, si veste all'orientale

Se davvero il compito della commissione è di preservare i riti orientali da indebite "latinizzazioni", riesce infatti difficile immaginare un Marini impegnato a convincere maroniti, siri, caldei e malabaresi ad abbandonare la celebrazione della messa “versus populum”, da loro abusivamente copiata dal "novus ordo" del rito romano, e a tornare alla loro originaria celebrazione verso Oriente.

*

Ma ora su questo fronte e nella stessa direzione c'è in arrivo molto di più.

Nei mesi scorsi il nunzio apostolico in Italia Adriano Bernardini ha trasmesso ai vescovi interessati una lettera della congregazione per le Chiese orientali mirata a sondare la fattibilità dell'erezione di una Chiesa metropolitana "sui iuris" che raccolga tutti i fedeli di rito bizantino residenti in Italia: ucraini, rumeni, italo-albanesi, ecc.

Il piano prevede l’estensione della giurisdizione della diocesi di Piana degli Albanesi ai fedeli bizantini di tutta la Sicilia; della diocesi di Lungro degli Albanesi ai fedeli bizantini di tutta l’Italia meridionale peninsulare; e del monastero di Grottaferrata (vedi foto) ai fedeli bizantini dell’Italia centrosettentrionale.

Si darebbe vita così a una sorta di “Chiesa cattolica dei bizantini in Italia” unificata, che metterebbe assieme fedeli di Chiese con tradizioni proprie, con calendari differenti, chi gregoriano e chi giuliano, e persino con riti diversi, essendovi nell'eparchia di Piana degli Albanesi anche preti e parrocchie di rito latino.

Questa unificazione non la vuole nessuno. Gli ucraini aspirano a una giurisdizione propria, come in Germania, in Inghilterra e in Francia, e gli italo-albanesi non ne vogliono sapere di vedere annullata la loro identità. Discendono dall’emigrazione arrivata in Italia dall'Albania nel XV secolo e nella maggior parte dei luoghi in cui abitano la lingua della loro vita quotidiana e della liturgia è l’albanese, tutelata dalla legge nazionale sulle minoranze linguistiche. Ma sono in minor numero degli ucraini di recente immigrazione in Italia e temono che i loro futuri vescovi, nominati dal papa in forza dei canoni 155 e 168 del codice delle Chiese orientali, saranno appunto ucraini e non più italo-albanesi.

Curiosamente, però, proprio il vescovo che papa Francesco ha insediato nel 2015 nella diocesi di Piana degli Albanesi, Giorgio Gallaro, è un attivo fautore della metamorfosi.

Siciliano, canonista, già di rito latino prima di emigrare temporaneamente in America, Gallaro non parla l'albanese, non ama il greco e cerca di imporre l'uso dell'italiano. Incurante delle prescrizioni liturgiche, va a celebrare anche nelle chiese latine dell’eparchia, indossando paramenti latini. Ha decurtato le solenni liturgie bizantine della settimana santa, per lui forse troppo prolisse, ma alle quali la popolazione è molto attaccata. Sta man mano allontanando dalla cittadina capoluogo dell'eparchia i preti di rito greco, alcuni sposati e con prole, rimpiazzandoli con preti latini. Anche alla Martorana di Palermo, su cui ha giurisdizione, ha interrotto la storica sequenza dei "papàs" italo-albanesi.

Contro di lui va crescendo una comprensibile protesta. Il consiglio presbiterale dell'eparchia e il collegio dei consultori si sono dimessi quasi in blocco.

E un convegno laico e popolare è in programma a Piana degli Albanesi nella seconda metà di settembre, in difesa delle lingue greca ed albanese nella liturgia e nelle istituzioni pubbliche, a cominciare dalla scuola.

*

Quanto all'abbazia di Grottaferrata, il suo futuro è ancora più problematico.

Dopo le dimissioni accolte il 4 novembre 2013 dell’ultimo archimandrita, il monaco basiliano Emiliano Fabbricatore, papa Francesco ha diviso le cariche, nominando egumeno, cioè superiore del monastero, il benedettino belga Michel Van Parys, già abate di Chevetogne, e affidando la giurisdizione diocesana a Marcello Semeraro, vescovo di Albano, stretto collaboratore del papa in quanto segretario del consiglio dei nove cardinali per la riforma della curia romana e il governo della Chiesa universale.

In quell’occasione il quotidiano cattolico francese "La Croix" rivelò che a imporre le dimissioni dell'archimandrita era stata la Santa Sede, a motivo delle lamentele per il "frequente viavai notturno" nell'abbazia. Roma avrebbe inoltre accertato l'invalidità delle ordinazioni sacerdotali di alcuni monaci:

> Démission de l'abbé exarchal de Grottaferrata

Poi all'improvviso, il 30 maggio 2016, un comunicato congiunto a firma di Semeraro e Van Parys ha annunciato la nomina del vescovo di Albano a delegato pontificio dell'ordine basiliano d'Italia e ad amministratore apostolico del monastero, e la cessazione delle funzioni di Van Parys:

> Comunicato

In sostanza si è trattato di un commissariamento in piena regola di una comunità monastica ridotta a pochi elementi anziani e di questo passo destinata progressivamente a cambiare natura, "in forme attualmente allo studio della Santa Sede".

Ma chi il vescovo di Albano ha poi nominato come suo referente riguardo alla vita del monastero? L’archimandrita emerito Emiliano Fabbricatore, cioè proprio colui sotto cui ci furono le dubbie ordinazioni al sacerdozio e il "frequente viavai notturno" denunciato da "La Croix".

Grottaferrata non è un monastero qualsiasi. È stato fondato nel 1004, mezzo secolo prima dello scisma del 1054 tra Oriente e Occidente, da san Nilo da Rossano, sul terreno di un’antica villa romana concesso ai monaci dal feudatario del luogo, Gregorio I dei Conti di Tuscolo.

Situato a una ventina di chilometri da Roma, sulle pendici dei Colli Albani, è l'ultimo dei numerosi monasteri bizantini che esistevano in Italia fino alla metà del secolo XI. Ha resistito ai frequenti tentativi di latinizzazione e continua a essere un simbolo ecumenico di indubbio valore.

Ma con l'avvento della “Chiesa cattolica dei bizantini in Italia” unificata, questa sua identità verrebbe definitivamente compromessa.

Resta un mistero come una realtà orientale così significativa, nel cuore della Chiesa romana, sia stata lasciata decadere a tal punto, senza che nulla fosse fatto per salvarla.


__________
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PIANA DEGLI ALBANESI. FEDELI IN SOFFERENZA CHIEDONO AIUTO AL PAPA. UNA LETTERA APERTA SU STILUM CURIAE.



MARCO TOSATTI

Una parte significativa dei fedeli di rito greco della Sicilia è in sofferenza. Tanto in sofferenza da scrivere una lettera aperta al Pontefice; queste persone hanno scelto Stilum Curiae per renderla pubblica, nella speranza che il Pontefice li aiuti a trovare una soluzione. La pubblichiamo subito, e la facciamo seguire da qualche elemento di spiegazione.

Beatissimo Padre, dopo un biennio di continui ricorsi presso la Congregazione delle Chiese Orientali e dopo l’umiliazione del silenzio di essa, e dopo aver interpellato altri dicasteri della Santa Sede, senza avere mai ricevuto alcuna risposta, ricorriamo a Vostra Santità quale ultima istanza e quale Vescovo di Roma, che presiede nella carità a tutte le Chiese.

Noi crediamo che la Chiesa Orientale in Piana degli Albanesi alla luce della Orientalium Ecclesiarum del Vaticano II, del magistero ordinario dei Sommi Pontefici ( Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI) meriti RISPETTO e sia trattata quale membro vitale dell’Una Santa Cattolica ed Apostolica Chiesa.

La testimonianza di fedeltà lunga ben cinque secoli nata dal martirio in terra d’Albania è un segno dell’amore all’unità della Chiesa nella sua diversità. L’odierno Eparca, da Vostra Santità scelto, rappresenta una ferita ecclesiologica ed ecumenica.

Vostra Santità giustamente abbraccia e ricerca l’unità con i patriarchi ortodossi; il nostro Eparca purtroppo dà segni di disprezzare, ed umilia in Vostro Nome ,la Tradizione della Chiesa Orientale.

La cattolicità quindi, è messa in pericolo dai cattolici stessi. Un ritorno alla prassi orientale ortodossa, Santità, ci sembra essere l’unico mezzo per avere il giusto rispetto ed il diritto all’esistenza.

È per questo, santità, perché non vediamo nessun’altra soluzione, dopo due anni in cui abbiamo cercato con tutti i mezzi un dialogo che ci è stato negato, che chiediamo un Vostro intervento. Ci affidiamo a Voi, Santità, sicuri che saprete trovare la forma e il modo per ottenere che la nostra comunità possa tornare a un modus vivendi compatibile con la Tradizione orientale, che si è perpetuata fino ad oggi, e che purtroppo le azioni del vescovo Gallaro, coscienti ed incoscienti, stanno mettendo in pericolo gravissimo.

Santità, ci aiuti a restare cattolici!

I fedeli italo albanesi di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Mezzojuso, Contessa Entellina, eredi di padre Giorgio Guzzetta, i fedeli della concattedrale della Martorana di Palermo.



Per dare un punto di riferimento a persone che vivono sparse in un’area territoriale frammentata, è stato creato un gruppo-presidio culturale-religioso su Facebook,

un “Presidio” per la difesa delle tradizioni culturali e religiose degli Albanesi di Sicilia, gli arbëreshë. La loro storia comincia nel XV secolo, dopo le imprese di Giorgio Castriota, Scanderbeg, quando gli ottomani invadono il loro Paese. Intere comunità cristiane lo abbandonano e si trasferiscono in Calabria e in Sicilia.

Da allora e fino ad oggi la chiesa albanese in comunione con Roma celebra in rito bizantino, e la lingua liturgica è il greco. Ci sono due Eparchie; una a Lungro, in Calabria, e l’altra in Sicilia con centro a Piana degli Albanesi. Due anni fa, dopo vari anni di difficoltà, venne nominato un nuovo vescovo: Giorgio Gallaro, nato in Sicilia, ma emigrato negli Stati Uniti, dove è diventato sacerdote. Di rito latino, poi melchita. E infine viene mandato dagli Stati Uniti in una realtà che per lui è completamente nuova. E qui nascono le prime perplessità. “Non era mai capitato né nella storia della diocesi, né in quella di Lungro, che ci fosse un vescovo non appartenente all’etnia albanese”, ci dicono. “Di solito il vescovo deve essere albanofono, e di rito bizantino. Perché viene nominato vescovo americano, che dal rito latino passa al rito melchita, a quello ruteno e infine si converte al rito bizantino?”. È certamente qualche cosa a cui dovrebbe rispondere la Congregazione per le Chiese orientali, che è diretta, nei suoi tre massimi esponenti, dal cardinale argentino Sandri, da un gesuita e da un domenicano.

A quanto pare il vescovo, che inizialmente aveva destato qualche speranza di riuscire a ricomporre una situazione spesso conflittuale nel clero, non è riuscito a conquistare il cuore di una buona parte dei fedeli. La questione della liturgia, e della lingua creano disagio e scontento: “Ma è normale che il vescovo di Piana degli Albanesi non conosca il greco? È la nostra lingua liturgica. Come fa a celebrare? In italiano.” ci dicono e un altro aggiunge: “Poi c’è anche una parte in arbëreshë, anche questo viene ignorato”. Non solo. Le donne della comunità, quando ha preso possesso della diocesi, si sono messe al lavoro per adattare al suo fisico gli abiti liturgici preziosi del primo vescovo di Piana. “Per noi hanno un significato sia dal punto di vista culturale, che storico; è un lavoro che proviene dalle suore, che hanno fatto un lavoro bellissimo, con ricami d’oro. È una tradizione; c’è un’importanza liturgica. Non li ha mai messi. Si veste all’americana in un modo che fa rabbrividire”. Anche alcune scelte e spostamenti di parroci, molto amati dai fedeli, hanno causato altro scontento e frizioni. Così come il rifiuto del vescovo di accogliere una delegazione di fedeli, o la decisione di accorciare alcune liturgie che gli sembravano troppo lunghe. O il trasferimento in zone decentrate di alcuni sacerdoti che, come ci dicono, “hanno il carisma della voce”: importante per la liturgia, che ha molte parti cantate e salmodiate.

E poi ci sono stati episodi di frizione e protesta che hanno esasperato una situazione che dall’attesa iniziale è passata verso il disagio aperto e la contestazione. Una manifestazione di protesta di centinaia di persone davanti all’episcopio non ha smosso la situazione, così come non sono servite a nulla le lettere scritte da tutti i paesi dell’eparchia a Roma e in Vaticano scritte – in maniera spontanea, non concordata, ci dicono, e firmate – per chiedere un intervento che riporti l’armonia in questa comunità così particolare, e, stranamente, ancora così religiosa. Ci sono vocazioni locali, e per cinque paesi i sacerdoti sono una trentina (c’è anche clero uxorato).

“Abbiamo fatto una grossa manifestazione, molto civile, tranquilla, davanti alla Curia, chiedendo di venirci incontro, di ricevere una delegazione per parlare con lui; è andato a Palermo”. Egualmente, i fedeli della chiesa Martorana di Palermo non avevano accettato il trasferimento del loro parroco, che amavano: “Questi fedeli volevano incontrarsi con lui, e temporeggiava. Tutte donne davanti all’episcopio chiedevano ci apra! Ha chiamato i carabinieri”.

Insomma, ai fedeli disillusi non è rimasta che la strada di un appello al Pontefice, nella speranza che non resti inascoltato.

http://www.lafedequotidiana.it/fedeli-dell...iano-lo-scisma/

I fedeli delle eparchie albanesi in Italia minacciano lo scisma
Michele M. Ippolito 20 agosto 2017 Italia, Ultime notizie Nessun commento
Attraverso una lettera pubblica, resa nota dal vaticanista Marco Tosatti, i fedeli italo albanesi di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Mezzojuso, Contessa Entellina, eredi di padre Giorgio Guzzetta, i fedeli della concattedrale della Martorana di Palermo, tutti in comunione con Roma (celebrano in rito bizantino, e la loro lingua liturgica è il greco) chiedono aiuto al Papa per “restare cattolici”.

In particolare i fedeli di una delle due Eparchie presenti nel sud Italia (l’altra è a Lungro, in Calabria), discendenti dalla “testimonianza di fedeltà lunga ben cinque secoli nata dal martirio in terra d’Albania”, reclamano “rispetto” per la loro Eparchia e, dopo “un biennio di continui ricorsi presso la Congregazione delle Chiese Orientali e dopo l’umiliazione del silenzio di essa, e dopo aver interpellato altri dicasteri della Santa Sede, senza avere mai ricevuto alcuna risposta” chiedono a Papa Francesco chiedono di essere trattati quali membri vitali “dell’Una Santa Cattolica ed Apostolica Chiesa”.

I fedeli si lamentano del nuovo Eparca, scelto dal Papa, che per loro “rappresenta una ferita ecclesiologica ed ecumenica”. In particolare i fedeli spiegano al Papa che il loro Eparca “dà segni di disprezzare, ed umilia in Vostro Nome, la Tradizione della Chiesa Orientale”. Per questo si affidano a Francesco per “tornare a un modus vivendi compatibile con la Tradizione orientale, che si è perpetuata fino ad oggi, e che purtroppo le azioni del vescovo Gallaro, coscienti ed incoscienti, stanno mettendo in pericolo gravissimo”. I fedeli fanno riferimento al neo Eparca Giorgio Gallaro, nativo della Sicilia, ma diventato sacerdote (di rito latino e poi melchita) negli Stati Uniti, dove era emigrato.

“Non era mai capitato né nella storia della diocesi, né in quella di Lungro, che ci fosse un vescovo non appartenente all’etnia albanese”, hanno dichiarato i fedeli italo-albanesi. “Di solito il vescovo deve essere albanofono, e di rito bizantino. Perché viene nominato vescovo un americano, che dal rito latino passa al rito melchita, a quello ruteno e infine si converte al rito bizantino?”. “Ma è normale che il vescovo di Piana degli Albanesi non conosca il greco? È la nostra lingua liturgica. Come fa a celebrare? In italiano!”, aggiungono i fedeli: “Poi c’è anche una parte in arbëreshë, anche questo viene ignorato”.

Infine i fedeli riferiscono di non vedere all’orizzonte altra soluzione che un intervento diretto del Papa e lamentandosi del fatto che la cattolicità “è messa in pericolo dai cattolici stessi” rilevano sconfortati che forse “un ritorno alla prassi orientale ortodossa, Santità sembra essere l’unico mezzo per avere il giusto rispetto ed il diritto all’esistenza”.

Matteo Orlando

www.facebook.com/groups/178041995949266/

https://www.agi.it/blog-italia/il-papa-pop...ost/2017-08-18/

di SALVATORE IZZO18 agosto 2017, 12:18

Le tensioni a Piana degli Albanesi

Da uno scenario delicato e complesso come quello dell’Ucraina, all’infuocata landa siciliana di Piana degli Albanesi, dove vive una delle comunità più antiche di rito orientale, quella degli Arbereshe.

Anche qui i cattolici di rito bizantino di origine albanese (eredi degli esuli che arrivarono in Italia tra il XV e il XVIII secolo, in seguito alla morte dell'eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Scanderbeg e alla progressiva conquista dell'Albania e, in generale, di tutti i territori dell'Impero Bizantino da parte dei turchi-ottomani) si sentono incompresi e vittime di ingiustizie. Come sempre, anche in questo caso in effetti la ragione non sta da una parte soltanto.

“Beatissimo Padre - scrive a Papa Francesco un gruppo di fedeli che ha trovato ospitalità sul sito Stilium Curiae del vaticanista Marco Tosatti - dopo un biennio di continui ricorsi presso la Congregazione delle Chiese Orientali e dopo l’umiliazione del silenzio di essa, e dopo aver interpellato altri dicasteri della Santa Sede, senza avere mai ricevuto alcuna risposta, ricorriamo a Vostra Santità quale ultima istanza e quale Vescovo di Roma, che presiede nella carità a tutte le Chiese.

Noi crediamo che la Chiesa Orientale in Piana degli Albanesi alla luce della Orientalium Ecclesiarum del Vaticano II, del magistero ordinario dei Sommi Pontefici (Beato Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI) meriti rispetto e sia trattata quale membro vitale dell’Una Santa Cattolica ed Apostolica Chiesa.

La testimonianza di fedeltà lunga ben cinque secoli nata dal martirio in terra d’Albania è un segno dell’amore all’unità della Chiesa nella sua diversità. L’odierno Eparca, da Vostra Santità scelto, rappresenta una ferita ecclesiologica ed ecumenica. Vostra Santità giustamente abbraccia e ricerca l’unità con i patriarchi ortodossi; il nostro Eparca purtroppo dà segni di disprezzare, ed umilia in Vostro Nome, la Tradizione della Chiesa Orientale. La cattolicità quindi, è messa in pericolo dai cattolici stessi. Un ritorno alla prassi orientale ortodossa, Santità, ci sembra essere l’unico mezzo per avere il giusto rispetto ed il diritto all’esistenza. È per questo, santità, perché non vediamo nessun’altra soluzione, dopo due anni in cui abbiamo cercato con tutti i mezzi un dialogo che ci è stato negato, che chiediamo un Vostro intervento. Ci affidiamo a Voi, Santità, sicuri che saprete trovare la forma e il modo per ottenere che la nostra comunità possa tornare a un modus vivendi compatibile con la Tradizione orientale, che si è perpetuata fino ad oggi, e che purtroppo le azioni del vescovo Gallaro, coscienti ed incoscienti, stanno mettendo in pericolo gravissimo. Santità, ci aiuti a restare cattolici!”.

Firmato: “i fedeli italo albanesi di Piana degli Albanesi, Palazzo Adriano, Mezzojuso, Contessa Entellina, eredi di padre Giorgio Guzzetta, i fedeli della concattedrale della Martorana di Palermo”.

Qualche mese fa un centinaio di fedeli, che temono la “latinizzazione” dell’Eparchia di rito bizantino, aveva addirittura manifestato sotto la sede episcopale. L’indice era puntato contro le novità portate dal vescovo Giorgio Demetrio Gallaro, arrivato dagli Stati Uniti (come buona parte dell’attuale gerarchia orientale): i pontificali in italiano, la modifica di alcune parti del rito e l’assenza di confronto. I malumori avevano avuto inizio ad agosto dell’anno scorso, dopo la decisione del vescovo di traferire alcuni preti all’interno dell’Eparchia di Piana degli Albanesi che comprende anche Contessa Entellina, Mezzojuso, Palazzo Adriano e Santa Cristina Gela. E ingloba la cattedrale palermitana di San Nicolò dei Greci alla Martorana.

“La causa di tutte queste proteste - replica da parte sua monsignor Gallaro - è in quei sacerdoti, che per non muoversi dai loro luoghi, hanno strumentalizzato dei fedeli in buona fede per esasperarli in nome di un pretesa identità orientale. Peccato – fa notare l’eparca – che siano gli stessi preti che da anni hanno introdotto pratiche devozionali di un latinismo che neppure i latini accettano”.

Il riferimento è all’introduzione del festeggiamenti per Padre Pio e vari pellegrinaggi. L’eparca venuto dagli Stati Uniti, ma originario di Pozzallo, spiega cosa ha reso necessari i trasferimenti: “Non è pensabile che i parroci rimangano tutta la vita nella stessa parrocchia. Al mio arrivo ho radunato tutto il clero chiedendo un po’ di tempo per conoscere e poi decidere su alcuni spostamenti necessari”. All’origine del nuovo piano della diocesi, spiega il vescovo, ci sono soprattutto esigenze di “trasparenza e chiarezza nella gestione economica”. “La nostra è un’Eparchia ricca dove si è sperperato denaro a causa di una gestione confusa e alla quale abbiamo voluto mettere fine”. A chi lo accusa poi di “latinizzare Piana” monsignor Gallaro risponde che “l’identità dell’Eparchia è composita (ne fanno parte anche fedeli di rito latino, ndr) ed il vescovo ha la piena autorità di usare indifferentemente i due riti, così come recita la bolla di San Giovanni XXIII. Sono per il rispetto della tradizione, ma bisogna adattarsi al presente. In tal senso ho trovato in alcuni ambienti una sorta di chiusura etnica ed, in tema di catechismo, una certa carenza documentale di materiale in lingua italiana, nonostante le indicazioni date dal Sinodo del 2010”. Di qui la scelta di tradurre il catechismo delle chiese orientali. “E’ utile ricordare - conclude Gallaro - che l’uso dell’italiano nella letture dell’epistole del Vangelo era stato introdotto a Piana prima del mio arrivo e non c’è in atto nessuna riforma liturgica. La traduzione di alcune preghiere dall’albanese risponde all’esigenza di farsi comprendere dalle migliaia di persone che partecipano ai nostri riti della Settimana Santa”.

Gli 800 mila cattolici orientali che in Italia non vogliono farsi latinizzare

Argomenti quelli del presule italo-americano che non fanno una grinza, ma certo non tranquillizzano gli animi dei cattolici orientali che in Sicilia si vedono in qualche modo spinti alla completa latinizzazione e denunciano anche “l'abbandono spirituale nel quale si trovano i nuovi immigrati ortodossi residenti anche in nostri paesi arbereshe privi di clero ortodosso". Il riferimento è in particolare alla comunità greco-cattolica rumena presente in Italia (oltre mezzo milione di immigrati) che qualche anno fa si era vista respingere dalla Cei la richiesta di farsi seguire in Italia da clero uxorato messo a disposizione dall'episcopato rumeno perché non esisterebbe "la 'giusta e ragionevole causa' che giustifichi la concessione della dispensa" dalla legge ecclesiastica per la quale i preti sposati delle Chiese orientali non possono esercitare al di fuori del territorio storico della loro Chiesa. "La convenienza di tutelare il celibato ecclesiastico e di prevenire il possibile sconcerto nei fedeli per l'accrescersi di presenza sacerdotali uxorate prevale infatti - aveva spiegato in una lettera ai vescovi rumeni l'allora presidente della Cei, Angelo Bagnasco - sulla pur legittima esigenza di garantire ai fedeli cattolici di rito orientale l'esercizio del culto da parte di ministri che parlino la loro lingua e provengano dai loro stessi Paesi".

Recentemente un paio di sacerdoti italiani di rito orientale, stanchi dei contrasti, sono passati a chiese ortodosse, seguiti da gruppi di fedeli, mentre vive una profonda crisi vocazionale e disciplinare l'Abbazia Greca di San Nilo, cioè il monastero di Grottaferrata, la terza realtà orientale canonicamente eretta in Italia (con Piana degli albanesi e l'eparchia di Lungro in Calabria). Più in generale la situazione delle comunità di tradizione orientale è molto preoccupante anche perché ci sono oggi nel nostro Paese circa 800 mila cattolici di rito greco: albanesi, mediorientali, indiani, rumeni e ucraini, i cui bisogni spirituali si sommano a quelli delle poche migliaia di eredi delle popolazioni albanesi nelle quali la lunga attesa per vedere riconosciuti i propri diritti di appartenenti al rito bizantino ha lasciato cicatrici che ancora – come si vede – sono sanguinanti. E che occorre far guarire perché la Chiesa per essere davvero cattolica ha bisogno anche di loro, degli orientali.
 
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La Chiesa degli albanesi di Calabria

Lun, 23/09/2019 - 15:05

La celebrazione dei cento anni dalla fondazione della “eparchia” (diocesi) italo-albanese di Lungro, in Calabria, riporta d’attualità una questione spesso ignorata: la Chiesa cattolica, nel mondo intero, è al 95% di rito latino, ma in essa vi sono anche altri riti.

Riti che vogliono essere salvaguardati.
La cronaca recente si inserisce in una storia lontana, e drammatica: a metà del Quattrocento il condottiero albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg, pur battendo più volte i turchi ottomani (che nel 1453 avevano appena conquistato Costantinopoli, mettendo fine all’impero romano d’Oriente), non poté debellare la schiacciante superiorità numerica dei nuovi padroni, decisi ad assoggettare anche l’Albania. È in tale contesto che, a ondate successive, migliaia di albanesi ripararono in Italia: alcuni di essi riusciranno a fissarsi nella provincia di Cosenza, dove furono loro assegnate delle terre, o zone disabitate; altri in Sicilia.

I migranti portarono con loro il rito bizantino greco nella liturgia e l’albanese come lingua parlata; e anche la loro tradizione canonica che, tra l’altro, prevede il clero uxorato. Con il tempo, la pressione del mondo latino, nel quale erano immersi, “latinizzò” gli “arbëreshë”, gli albanesi. Finalmente, nel 1919 Benedetto XV creò per loro l’eparchia di Lungro - un grazioso paese collinare di duemilacinquecento anime; e, nel 1937, Pio XI istituirà in Sicilia l’eparchia di Piana degli albanesi, vicino a Palermo.

Il Concilio Vaticano II, nel 1964, ribadì che, nella Chiesa cattolica, tutti i riti hanno la stessa dignità. Tuttavia le due diocesi albanesi in Italia ebbero molti ostacoli per mantenere il clero uxorato, perché creava imbarazzo a parrocchie confinanti latine, guidate da preti celibi. Ma, adesso, sembra che l’antica prassi sia stata pacificamente ripristinata: e, in Calabria, (quasi) nessuno si meraviglia più.

A celebrare, la settimana scorsa, il centenario della Lungro greco-cattolica, è arrivato Bartolomeo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, “primus inter pares” nell’Ortodossia: un segnale importante di dialogo e di speranza per la riconciliazione tra cattolici ed ortodossi, divisi da uno scisma reciproco che risale al 1054. Da parte sua, il vescovo “albanese” della eparchia, Donato Oliverio, ha evidenziato che la presenza, all’interno della soverchiante Chiesa latina, di un’oasi di rito bizantino, dimostra possibile “l’unità nella diversità”.

Come in quelle ortodosse, anche in Chiese cattoliche orientali il celibato del clero è opzionale (però il seminarista deve decidere, prima dell’ordinazione, se sposarsi o meno). I parroci melkiti o maroniti, in Libano e Siria, e quelli delle diocesi greco-cattoliche di Ucraina e Romania sono, per lo più, sposati.

L’opzionalità del celibato sacerdotale risolve, forse, alcuni problemi personali e pastorali, ma non è una bacchetta magica per le Chiese, che hanno un futuro solo se creano ministeri aperti a uomini e donne, e comunità non più clericali, ma vivaci e responsabili.
 
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