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La legge sul 'fine vita'

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Alessandro Baoli
view post Posted on 18/7/2011, 17:50




Anche a Brescia sarà possibile sottoscrivere il testamento biologico

L’iniziativa, promossa dal cartello di partiti e associazioni Brescia Laica, è in risposta al rifiuto del sindaco Adriano Paroli di istituire il registro dei biotestamenti, come già avvenuto in altre città d’Italia Da ieri a Brescia è possibile sottoscrivere il testamento biologico: basta contattare mandare una mail o telefonare alla sede locale di Sinistra, ecologia e libertà o all’Associazione Luca Coscioni e fissare un appuntamento gratuito con un notaio.

L’iniziativa è promossa da Brescia Laica, un ampio cartello di forze politiche e sociali che riunisce partiti e associazioni: dal Pd al Sel; dall’Idv al Partito Radicale; da Rifondazione Comunista al Partito Socialista; passando per l’Associazione Luca Coscioni, l’Arcigay, Libertà e Giustizia e il Movimento per la Scelta. Un’iniziativa, quella di Brescia Laica, nata dopo il rifiuto del sindaco Adriano Paroli di istituire il registro dei biotestamenti, come già avvenuto in altre città d’Italia (Milano e Torino sono state le prime).

Secondo Cristina Manenti di Sinistra Ecologia e Libertà, l’iniziativa “si prefigge di fare pressione sul governo perché venga affossata una proposta come il Ddl Calabrò, approvato alla Camera martedì, che nega la possibilità di scelta rispetto al fine vita”. L’avvocato Lorenzo Cinquepalmi del Partito socialista, sottolinea come “la stragrande maggioranza degli italiani sia a favore di una legge che garantisca il pieno diritto di scelta”. Gisella Bottoli di Libertà e Giustizia lancia un appello ai medici perché “facciano obiezione di coscienza su una materia tanto delicata”. La legge infatti prevede che le volontà scritte e firmate dal cittadino non siano considerate vincolanti e che la decisone finale spetti al dottore. A tale riguardo, il Partito radicale si dice pronto a lanciare un’iniziativa referendaria “se la proposta di legge ‘catto-fascista’ dovesse ricevere il sì definitivo del Senato”.

Brescia laica rivolge un appello a tutti i notai della città perché mettano a disposizione i loro uffici per l’autentica del biotestamento, che deve avvenire in modo rispettoso della privacy. Già da questa mattina, un notaio sarà a disposizione per l’autentica dellle proprie volontà sul fine vita e il documento verrà registrato e depositato con data e firma della persone e l’indicazione dei fiduciari che in caso di necessità faranno valere la volontà espressa dal cittadino.

Domani via libera ai banchetti informativi in largo Formentone e corso Zanardelli: sarà possibile informarsi e prendere un appuntamento, mentre il tavolo di confronto politico e di organizzazione attorno alla tematica del fine vita, “un tavolo inclusivo, che si rivolge a tutti” come auspicato da Cesare Giovanardi del Pd, e che promette di dire la sua anche in vista delle prossime scadenze amministrative.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/16...ologico/145923/
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Medici e pazienti nella trappola del biotestamento

La norma varata dal Parlamento prevede che sia il dottore a prendere la decisione finale, ma con il rischio di sanzioni penali. Per esempio, se un medico decidesse di togliere il sondino di alimentazione a una persona nello stato di Eluana Englaro, in base al ddl commetterebbe un reato: l'omicidio colposo, o forse addirittura volontarioRoma, caldo torrido anche se il sole è tramontato. La gente esce dal grande ospedale: fine turno per il personale, scaduto l’orario di visita per i parenti. Ma c’è un reparto dove i familiari stanno ancora dentro. Al secondo piano il cartello dice: “13.30-18.30 un familiare, 18.30-22.00 turnazione tra familiari”. Poi verrà la notte, i visitatori usciranno, nelle stanze solo i malati e quelle mogli, quei figli, che dormiranno ancora una volta rannicchiati su una poltrona o una sdraio da spiaggia.

Un sonno nero, interrotto da passi in corridoio e porte che cigolano, odore di detergente e profumo di caffè. Anche una sigaretta fumata alla finestra, di nascosto, ragionando su quello che si può e non si può più fare quando una persona cara sta male e non ha speranza di guarire. “Aspettiamo. Cerchiamo di capire. Più che altro ci fidiamo dei dottori: se non sanno loro cosa fare, figurati noi”. Lorenza ha un marito malato di cancro, in coma da un mese. “Dicono che può durare giorni, ma anche mesi – dice lei guardando il pavimento -. Dormo qui perché voglio esserci quando muore. Forse è già morto, ma non lo lascio solo finché se ne andrà fuori da questa stanza”.

Se il disegno Calabrò sul biotestamento diventerà legge, Lorenza e suo marito dovranno aspettare a lungo. Perché anche nel caso in cui un malato terminale rifiuti il prolungamento delle cure parlandone direttamente coi medici o depositando una Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), la nuova norma prevede che sia sempre e comunque il medico a prendere la decisione finale, con l’obbligo di somministrare al paziente “idratazione e alimentazione” fino a quando il cuore batte, magari aiutato dalle macchine. Il che vuol dire mesi, anni, distesi in un letto attaccati a fili e flebo. Spiega Davide Mazzon, direttore dell’Unità di rianimazione dell’Ospedale di Belluno: “Finora avevamo come guida i principi della Costituzione e i doveri della professione medica. Non leggi dettagliate, ma validi binari su cui incanalare scelte responsabili e condivise. Adesso invece dobbiamo confrontarci con l’ipotesi peggiore: politici che si mettono a fare gli scienziati, norme che già a una prima lettura sono prive di ogni applicabilità causa totale ignoranza delle questioni tecniche. Per non parlare dell’articolo 32 della Costituzione che garantisce a tutti la libera scelta e il rifiuto delle cure: il Calabrò è un imbroglio per i cittadini e un oltraggio per i medici. Non è possibile fare una legge su un tema tanto importante solo per dire ai cattolici: ecco, abbiamo vietato l’eutanasia. Qui c’è gente che soffre e ha problemi serissimi, giocare sulla pelle delle persone solo per compiacere il Vaticano è inaccettabile”.

In concreto, cosa dovrebbe cambiare? Ancora non è chiaro, le modifiche al testo si sono affastellate fino all’ultimo creando ampie contraddizioni e vuoti incomprensibili. Per ora, solo ipotesi pensando a quello che è già successo. Per esempio, se un medico decidesse di togliere il sondino di alimentazione a una persona nello stato di Eluana Englaro, in base al ddl commetterebbe un reato: l’omicidio colposo, o forse addirittura volontario. Anche se tutto si smonterebbe in fase giudiziaria: il termine alimentazione fa riferimento a sostanze ingerite per bocca, mentre il sondino è in genere applicato all’addome. Oppure: se anziché interrompere idratazione e alimentazione si fermasse la ventilazione meccanica, sarebbe reato o no?

Giuseppe Gristina, coordinatore gruppo di studio Bioetica della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva, spera che intelligenza e sensibilità possano sopravvivere al decreto: “Diciamo innanzitutto che la legge verrebbe applicata solo agli stati vegetativi permanenti. Si tratta di circa tremila casi in Italia. Per il resto avremo solo problemi in più: vincoli assurdi da rispettare, reparti dove si opera secondo una certa logica e altri dove invece si va all’opposto, un pasticcio dannoso e inutile”. Col rischio che anche le cure d’urgenza e fine vita diventino ostaggio della medicina difensiva, quella fatta col timore di incorrere in guai e sanzioni.

“Di fatto questa legge non cambierà molto le cose” prevede Rita Formisano, responsabile della Sezione post-coma della Fondazione Santa Lucia, struttura romana a rischio chiusura per i tagli alla sanità. “Si parla tanto di etica e filosofia mentre centri come i nostri devono lottare per esistere. E’ giusto pensare al fine vita, ma occupiamoci anche di chi vuol essere assistito in maniera dignitosa nella fase acuta e soprattutto in quella cronica della malattia, quando malati e famiglie sono abbandonate a se stessi. Ecco un tema serio: dove troviamo le risorse per sostenere questi pazienti, che sono sempre di più?”.
Al reparto oncologia dell’ospedale immerso nell’afa dopo la notte umida i letti sono tutti occupati. Una ragazza giovane, bionda, scheletrica, sta distesa sopra le lenzuola. Accanto un uomo le parla piano. Ci vorrà tempo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/07/16...tamento/145835/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 21/7/2011, 10:07




Anche i valdesi contro la Calabrò

Sul sito delle Chiese metodiste e valdesi, un intervento di Luca Savarino, coordinatore della commissione bioetica della Tavola valdese, che raccoglie teologi, giuristi e scienziati, ribadisce le critiche al testo sul fine vita approvato qualche giorno fa dalla Camera dei Deputati definito ambiguo e gravemente lesivo al principio di autodeterminazione dell’individuo . Scrive Savarino: “Meglio nessuna legge che una che sancisce che la vita umana quale ben indisponibile”. L’esponente valdese ritiene che si sia voluta fare una legge contro l’eutanasia e che la Calabrò non c’entri nulla sulle direttive anticipate sul fine vita.
Stefano Marullo

www.uaar.it/news/2011/07/21/anche-valdesi-contro-calabro/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 6/8/2011, 15:10




Biotestamento, Ravasin: “Io, malato, pugnalato da politici arroganti”


Paolo Ravasin accusa: legge ignorante, si deve aggiungere vita ai giorni, non giorni alla vita. Dal suo letto l’uomo afflitto da Sla, pioniere del testamento biologico, attacca maggioranza e Vaticano: subito firme per il referendum.

di Laura Canzian, "La Tribuna di Treviso"

«Mi sento pugnalato alle spalle. Con il potere dell'arroganza hanno votato un disegno di legge ignorante». I con queste durissime parole che Paolo Ravasin, dal suo letto nella casa di cura di Monastier, critica il ddl sul biotestamento votato alla Camera. Un testo che limita fortemente il rispetto delle volontà del malato sul fine vita, e che «annulla» il valore del testamento biologico. «Non mi fermeranno - dice Ravasin, determinatissimo - Continuerò a lottare per i diritti del malato. E' meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita». Anche se questo volesse dire attuare lo sciopero della fame, nonostante le condizioni di salute.

Ravasin, malato di Sla, immobilizzato a letto e autore di un testamento biologico (o meglio Dichiarazione anticipata di trattamento) reso pubblico anche sul web, attende l'approvazione in Senato prima di decidere in quale modo esprimere il suo profondo dissenso verso il testo votato da Lega, Pdl Udc, e da una piccola parte del Pd. Secondo gli oppositori il disegno di legge, pur dando il via libera al biotestamento, lo rende di fatto «carta straccia». Non solo perché il documento - in cui il malato dichiara a quali cure vuole sottoporsi una volta che non fosse più in grado di intendere e volere - non è vincolante per il medico, ma anche perché verrà applicato solo al paziente in stato di «accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale», ossia quando di fatto è morto. E' infatti lo stato in cui la legge autorizza l'espianto degli organi. Questa è la condizione per cui l'alimentazione con il sondino venga interrotta.

Ravasin, il suo testamento biologico rischia di non avere più alcun valore...
«Lo so. Mi sento come pugnalato alle spalle e come me si sente l'80% degli italiani che vogliono decidere sul proprio fine vita».

C'è chi dice che questa sia solo una vendetta contro Eluana. Lo stesso Beppino Englaro ha definito il ddl «incostituzionale». Pd e Radicali si dicono pronti a raccogliere firme per il referendum abrogativo se il ddl dovesse passare così com'è al Senato.
«Hanno ragione a dire che questa è una vendetta contro Eluana. Sono vicino a Beppino, che è un uomo eccezionale. Spero che Pd e Radicali vadano fino in fondo: sono sicuro che raccoglieranno molte firme perché la maggioranza degli italiani è contrario a tutto ciò».

Cosa farà ora?
«Andrò avanti per la mia strada, non mi fermeranno. Sai, in questi anni di immobilità ho maturato un pensiero. Che è meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita.

Cosa me ne faccio della possibilità di vivere fino a 100 anni, se sono incosciente in un letto, e non posso nè esprimere sentimenti nè sentire quelli degli altri? Questa è una legge contro la dignità umana. Se affondano la dignità del malato, affondano quella di tutti.

Si sente di lanciare un messaggio ai politici.
«Dico solo che al Governo ci sono troppi burattini che fanno ciò che dice loro la Chiesa. Il Vangelo orienta le scelte etiche e morali, ma non stabilisce alcun ordinamento legislativo».

Annunciano battaglia e mobilitazioni anche l'assocazione «Luca Coscioni», da sempre in prima fila per l'autodeterminazione del malato rispetto all'uso delle terapie e dei farmaci, i radicali del Veneto, numerose associazioni attive sul fronte della bioetica. Il voto della Camera ha innescato discussioni anche nelle forze del centrosinistra trevigiano.

http://temi.repubblica.it/micromega-online...tici-arroganti/
 
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mira75
view post Posted on 7/8/2011, 06:51




ssuccede perchè i candidati di ogni partito li scelgono i vescovi con i loro intrallazzi nel ssottogoverno di ogni diocesi.,..e tutti nonjostante queste vergogne continua a votare per le solite facce impresentabili...
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 15/9/2011, 09:29




Biotestamento, DDL Calabrò arriva in Commissione sanità

Il disegno di legge “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento” è da oggi all’ordine del giorno della Commissione igiene e sanità del Senato, dopo le modifiche approvate alla Camera a luglio. Successivamente verranno fissate le audizioni e la discussione generale. Il relatore Calabrò (PDL) prevede un iter veloce visto che la maggioranza è compatta su questo tema; Belisario (IdV) annuncia un’opposizione senza sconti.
Flavio Pietrobelli

http://www.uaar.it/news/2011/09/14/biotest...issione-sanita/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 8/10/2011, 11:01




Verona, bocciato registro per testamento biologico

Giovedì scorso il consiglio comunale di Verona ha bocciato la proposta del socialista Mauro De Robertis di istituire il registro per il testamento biologico. La proposta, scrive anche Il Corriere del Veneto, ha avuto 11 sì, 11 astenuti e 15 no. Nel corso della discussione è intervenuto tra gli altri in senso contrario il consigliere Alberto Zelger della ‘Lista Tosi’. Il quale si è chiesto chi c’è “dietro”, citando anche UAAR (il cui circolo veronese nelle scorse settimane si è attivato a favore del testamento biologico), associazione Luca Coscioni ed Exit, e giudicando l’iniziativa un “ritorno alla barbarie”.
Valentino Salvatore

http://www.uaar.it/news/2011/10/05/verona-...ento-biologico/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 8/10/2011, 11:17




Testamento biologico, 80 comuni alleati per la registrazione

Ottanta comuni hanno formato la “Lega degli enti locali per il registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento” con lo scopo di tutelare le “DAT” e di promuoverne il valore giuridico. L’iniziativa nasce dalla collaborazione delle associazioni Luca Coscioni, A buon Diritto e Gli Amici di Eleonora.
Flavio Pietrobelli
lunedì, 3 ottobre 2011

http://www.uaar.it/news/2011/10/03/testame...-registrazione/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 8/10/2011, 14:45




Aspettando il sondino di Stato

Qualunque cattolico praticante, lo stesso Papa tedesco, se venisse a trovarsi un giorno in condizioni simili a quelle di Welby, potrebbe chiedere in Germania – con l'autorizzazione della legge e con la benedizione della sua Chiesa – di essere lasciato “andare dal Padre”. Una strada che in Italia troverebbe sbarrata se dovesse diventare legge l'obbrobrio giuridico in dirittura d’arrivo al Senato.

di Marlis Ingenmey

Se Welby, quel giorno …
Quale sviluppo avrebbe preso in Italia la discussione sul fine vita e sul Testamento biologico se nel suo video-appello del 22 settembre 2006 ovvero lettera aperta al Presidente della Repubblica, un “grido … carico di speranza umana e civile per questo nostro Paese”, Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare pervenuta all’ultimo stadio, invocando per sé e per tutti i malati terminali che la desiderassero, una morte “opportuna”, non avesse parlato, per passione politica, di “eutanasia”? Se avesse incentrato il suo toccante messaggio sul “diritto”, costituzionalmente riconosciuto e garantito, all’autodeterminazione di ciascuno in materia di salute, chiedendo subito alle autorità competenti – come fece poi sulla fine di novembre rivolgendosi alla magistratura – di disporre l’immediata cessazione, “sotto sedazione terminale” onde “scongiurare ulteriori patimenti”, dell’“attività sulla propria persona di sostentamento a mezzo di ventilatore artificiale”, capace ormai solo di “differire nel tempo l’ineludibile e certo esito infausto”?

Quale sviluppo avrebbe preso quella discussione se i medici curanti di Welby, invece di lasciarsi spaventare dalla parola “eutanasia”, che in quei mesi imperversava nei mass media, e almanaccare sul fatto che, quando il paziente fosse sedato e dunque “non più in grado di decidere”, scatterebbe, in relazione al rischio della vita, l’obbligo di procedere immediatamente a riattaccare l’apparecchio al fine di “ristabilire la respirazione”, si fossero chiesti se erano autorizzati a ignorare la sua “libera, informata, consapevole e incondizionata volontà” attuale e di tenervelo ulteriormente attaccato, visto che, recepito l’inequivocabile disposto costituzionale, già l’edizione del 1998 del Codice di deontologia medica (che i medici “devono osservare nell’esercizio della professione”) recitava all’art. 32: “In presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona”, e precisava all’art. 37, riguardo ai casi di malattie a prognosi sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale: “Il medico deve limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze”? Nel caso di Welby, insistere con la ventilazione artificiale non avrebbe risparmiato ma prolungato nel tempo le sofferenze inutili e configurato un reato ai sensi dell’art. 610 della Sezione “Dei delitti contro la libertà morale” del Codice penale che prevede la “Violenza privata”: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Del resto, come si sa, l’Ordine dei medici di Cremona assolse poi all’unanimità (“Non si rilevano violazioni del Codice deontologico”) il collega Mario Riccio perché aveva aiutato Welby “nel morire, non a morire”. Per l’Ordine dei medici non ci fu “eutanasia”.

Quale sviluppo avrebbe, infine, preso la discussione sul fine vita e il Testamento biologico se il giudice designato del Tribunale di Roma, Angela Salvio, fosse stata coerente? Nella sua pronuncia sul ricorso ex art. 700 CPC di Welby, depositata il 16 dicembre 2006, dove non ricorre mai la parola “eutanasia”, essa definì “il principio dell’autodeterminazione e del consenso informato … una grande conquista civile delle società culturalmente evolute” che “permette alla persona … di decidere autonomamente e consapevolmente se effettuare o meno un determinato trattamento sanitario e di riappropriarsi della decisione sul se ed a quali cure sottoporsi” e ciò “in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale, in cui deve ritenersi riconosciuta all’individuo la libertà di scelta del come e del quando concludere il ciclo vitale, quando ormai lo spegnimento della vita è ineluttabile, la malattia incurabile e per mettere fine alle proprie sofferenze”. Ecco perché ha potuto e dovuto giudicare “sussistente” il “diritto” di Welby “di richiedere l’interruzione della respirazione assistita ed il distacco del respiratore artificiale”. Nel dichiarare ciò nonostante il suo ricorso “inammissibile” perché, secondo lei, “trattasi di un diritto non concretamente tutelato dall’ordinamento”, lamentando la mancanza di una delimitazione giuridica di ciò che va considerato “accanimento terapeutico”, le è evidentemente sfuggito che le norme costituzionali a presidio di diritti primari (quale è l’art. 32) sono imperative e di immediata operatività senza la, altrove necessaria, intermediazione legislativa. La giudice Salvio avrebbe potuto chiudere il caso Welby quel giorno stesso accogliendo in toto il suo ricorso ed emanando i provvedimenti opportuni richiamandosi all’art. 51 del Codice penale, in base al quale nel luglio successivo il gup del Tribunale di Roma, Zaira Secchi, avrebbe prosciolto (“Non luogo a procedere”) il dottor Riccio dall’accusa di “omicidio del consenziente”, e che recita: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica … esclude la punibilità …”. L’anestesista che si fosse prestato a staccare la spina, come richiesto da Welby, sarebbe stato “non punibile per la sussistenza dell’esimente dell’adempimento di un dovere”. Anche per la giurisprudenza non ci fu “eutanasia”.

Forse …
Forse, se le cose fossero andate davvero così, avremmo avuto, sulla scia del caso di Piergiorgio Welby, prima della Germania (che se l’è data nel 2009), anche una buona legge sul Testamento biologico già nella passata legislatura (e Beppino Englaro avrebbe dovuto faticare meno per far valere la ricostruita volontà della sua sfortunata figliola), perché fin da quella sera del 22 settembre 2006 avrebbe fatto presa sui cittadini – ma per forza anche sui rappresentanti della Nazione tutta e sull’esecutivo di allora – e sarebbe stato presto metabolizzato il concetto di “autodeterminazione in materia di salute”, a scapito del termine “eutanasia”, spauracchio agitato da allora (specialmente, appunto, nei mesi in cui ha invaso le pagine dei giornali ed è poi stato risolto il caso di Eluana) dalle gerarchie della Chiesa di qua e di là del Tevere e dalla parte meno emancipata ed europea dei cattolici tra chi attualmente ci governa e siede nel Parlamento, per imporre, nell’assetto pluralista di una Repubblica laica, le proprie concezioni morali della “vita” come “bene indisponibile”, demonizzando come parto del “relativismo contemporaneo” e defalcando goffamente conquiste come i “diritti” e le “libertà” individuali, presidiati da norme costituzionali di cui il cittadino si può – ma non per questo si deve – avvalere.

Forse il cardinale Ruini, all’epoca vicario della diocesi di Roma, ci avrebbe pensato due volte prima di negare a Welby il funerale religioso, perché lo sdegno da parte anche del mondo cattolico, manifestato apertamente dopo la sua decisione, sarebbe stato ancora più sferzante.

Forse il cardinale Martini avrebbe trovato maggiore ascolto col suo articolo sul “Sole 24 ore”, con cui, un mese esatto dalla morte di Welby, invitava a dare “più attenta considerazione anche pastorale” a “situazioni simili” che “saranno sempre più frequenti”: “… le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando non giovano più alla persona. E’ di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due termini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita causando positivamente la morte; la seconda consiste nella ‘rinuncia … all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo’ (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471)”. Evidentemente il cardinale Martini, riguardo al caso Welby, ha fatto quella distinzione, quando insiste a citare che “evitando l’accanimento terapeutico ‘non si vuole … procurare la morte: si accetta di non poterla impedire’ (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278)”.

Forse Papa Ratzinger, per il quale la vita di ogni essere umano va difesa “dal concepimento fino al suo termine naturale” (anzi “fino al suo naturale tramonto”, come ebbe a dire pochi giorni dopo la morte di Welby), e “l’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo”, non avrebbe non potuto ricordarsi e ammettere – perché sicuramente sarebbe venuto fuori – che, per la Conferenza episcopale tedesca, dal divieto per il credente di disporre liberamente della propria vita, non deriva un suo obbligo di ricorrere a tutti i ritrovati della scienza medica e della tecnologia per prolungarne artificialmente la durata. Lo aveva già detto, nel lontano 1980, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede nella Dichiarazione sull’eutanasia che dedica un intero capitolo, il quarto, a “L’uso proporzionato dei mezzi terapeutici”, e precisa: “E’ molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di ‘diritto alla morte’, espressione che non designa il diritto di procurarsi o di farsi procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità con dignità umana e cristiana … Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita…”, e tale “decisione” “spetterà in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo …”.

La traduzione tedesca del paragrafo 2278 del Catechismo che parla dell’“accanimento terapeutico” – termine che non esiste in tedesco per cui quel passo è reso a senso –, si apre infatti con l’affermazione: “La morale non richiede terapie a ogni costo”. Con la scelta della parola “morale” viene marcata in modo inequivocabile la differenza tra, da un lato, “un’azione oppure un’omisssione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore”, di cui al paragrafo 2277, che “costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana”, “eutanasia diretta” (altrimenti detta anche “eutanasia attiva”), “moralmente inaccettabile”, e, dall’altro lato, tanto “L’interruzione”, di cui al paragrafo 2278, “di procedure mediche straordinarie oppure sproporzionate rispetto ai risultati attesi, onerose e pericolose” (che vanno oltre l’accanimento terapeutico), che “può essere legittima”, pertanto moralmente accettabile, quanto “L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni”, già nel testo, paragrafo 2279, definito “moralmente conforme alla dignità umana”. Per i vescovi tedeschi, le “omissioni” e le “azioni” di cui agli ultimi due paragrafi del capitolo “Eutanasia” del Catechismo si configurano come “eutanasia passiva” rispettivamente “eutanasia indiretta”, entrambe “moralmente accettabili”.

Qualunque cattolico praticante, lo stesso Papa tedesco, se venisse a trovarsi un giorno in condizioni simili a quelle di Welby, potrebbe chiedere in Germania – non solo perché, come prima la giurisprudenza, ora glielo concede la legge, ma anche con la benedizione della sua Chiesa – di essere lasciato “andare dal Padre”, una strada che in Italia troverebbe sbarrata se dovesse diventare legge il papiro, un capolavoro di stolidezze, intitolato Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), in dirittura d’arrivo al Senato, che “riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile e indisponibile, garantito … fino alla morte accertata nei modi di legge” (l’articolo 1, comma primo), e fa, come fa lui, di “qualunque forma di eutanasia”, metaforicamente parlando, un fascio.

L’“eutanasia” di qua e di là delle Alpi
I vescovi tedeschi insistono sulla “tripartizione” dell’“eutanasia” (ossia “Sterbehilfe”, “aiuto” a ma anche nel “morire”, sinonimo dalla fedina pulita), ripresa a suo tempo dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici e, fino all’entrata in vigore della legge sul Testamento biologico, spesso anche dalla giurisprudenza (che usava tuttavia gli aggettivi quasi sempre preceduti da un “cosiddetto”). Per i vescovi italiani e, per l’occasione, per il Vaticano, e ormai anche per molti italiani, cattolici e non, l’“eutanasia”, picchia e ripicchia, è, invece, un “blocco monolitico”: esiste unicamente quella “attiva”. Lo dimostra la “lettura” che la maggior parte dei nostri quotidiani ha dato di una sentenza sull’argomento, emessa nel giugno dell’anno scorso dalla Cassazione tedesca, che ci può aiutare a fare maggiore chiarezza quanto alla definizione di questa parola.

“Berlino ‘apre’ all’eutanasia” (“Avvenire”), “Germania, primo sì all’eutanasia” (“Il Secolo XIX” e “la Repubblica”), “Eutanasia, in Germania si può” (“l’Unità”), “Germania, svolta storica. Sì dei giudici all’eutanasia” (“La Stampa”), “Berlino, Corte Suprema: ‘L’eutanasia è legale se richiesta dal paziente” (“Il Giornale”), “Eutanasia: ‘Scelga il malato’. Storica sentenza in Germania” (“Liberazione”), “La Germania e l’eutanasia. ‘Legittimo lo stop al cibo’” (“Corriere della Sera”), e via intitolando. Fautori e nemici giurati parlavano poi anche nel testo di “eutanasia” senza meglio qualificarla ma sottintendendo quella “attiva”, pochi di “eutanasia passiva”, altri evitavano, incerti, l’uso del termine. In realtà non si trattava, invece, né di una “svolta storica” o “storica sentenza”, né di un’“apertura” all’eutanasia, meno che mai di una sua “legalizzazione” se la si intende come, appunto, “attiva”.

La sentenza StR 454/09 del 25 giugno 2010 accoglie il ricorso di un avvocato avverso una condanna, per tentato omicidio, a 9 mesi di reclusione con la condizionale, inflittagli dalla Corte d’appello di Fulda il 30 aprile del 2009. La causa riguardava la cessazione di nutrizione e idratazione nel caso di una paziente in coma vigile da cinque anni, tenuta artificialmente in vita grazie alla PEG, all’impiego della quale si era in precedenza dichiarata contraria. L’avvocato aveva consigliato alla sua mandante, figlia e tutrice dell’interessata, visto il rifiuto del personale della casa di cura che ospitava sua madre di cessare il trattamento non più voluto, di tagliare personalmente il tubo per impedire l’immissione dei nutrienti. Ne riporto il testo integrale: “1. Prestare aiuto nel morire a un paziente non iniziando, limitando nel tempo o cessando un trattamento medico (sospensione di un trattamento medico) è giustificato se ciò corrisponde alla volontà reale o presunta dell’interessato e serve a lasciare che un processo patologico che conduce comunque alla morte, prenda, non più curato, il suo decorso naturale. 2. La sospensione di un trattamento medico può avvenire tanto per un’omissione quanto per un’azione. 3. Azioni con cui si interviene miratamente sulla vita di una persona che non siano legate alla sospensione di un trattamento medico, non trovano giustificazione nel consenso dell’interessato.”

Questa sentenza, tuttavia, è importante, perché traccia netto il confine tra, da un lato, l’esecuzione – non solo con un’“omissione” ma anche con un’“azione” (tagliare il tubo) – della volontà reale o presunta di un paziente come espressione del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica, la volontà, in questo caso, di essere “lasciato morire” ovvero che “il processo patologico … prenda, non più curato, il suo decorso naturale”, e, d’altro lato, la richiesta di un paziente di essere “fatto morire” che, se esaudita, si configura come “eutanasia attiva” (ieri e oggi reato in Germania), perché messa in opera con un’“azione” a sé stante (cioè al di fuori di una “sospensione di un trattamento medico”) che, come la somministrazione di una sostanza letale, “mira” direttamente a porre fine alla vita di una persona. La contrapposizione, per i tedeschi, almeno per i giudici e per i medici, ora non è più tra “eutanasia passiva” e “eutanasia attiva”, bensì tra “sospensione di un trattamento medico” in base a un diritto costituzionalmente garantito e fulcro di un’apposita legge ordinaria, e “eutanasia”, col solo significato, non espresso, di “attiva” .

Al di là delle Alpi è, come si vede, lecito sospendere, su richiesta dell’interessato, non solo con un’omissione ma anche con un’“azione”, fra i “trattamenti medici” perfino la nutrizione e l’idratazione artificiali che da noi – dove l’autodeterminazione terapeutica è, per dirla con le parole dell’allora monsignor Betori (nella sua ultima conferenza stampa come segretario della CEI), “… una visione che va contro le radici cristiane della nostra cultura” – verranno, magari a suon di fiducia, imposto tra poco per legge a tutti, ci verrà propinato il “sondino” anche se non lo vogliamo, e con una motivazione quanto mai strampalata. Gli autori di quell’obbrobrio, infatti, si richiamano, in mancanza di altro testimone, niente meno che alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, per la quale “gli Stati Parti devono” (articolo 25f) “prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità”. Recita infatti l’articolo 3, comma quarto del disegno di legge (salvo modifiche dell’ultima ora): “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità … alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo …”. Sapranno Lorsignori che detta Convenzione rivendica anche per i disabili (articolo 3a) “l’autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte”?

Eppure …
Eppure l’attuale presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, Antonio Tomassini, medico di professione e presidente onorario dell’Associazione nazionale “Europa dei diritti”, fu il primo firmatario di un disegno di legge, Norme in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento, presentato nel maggio del 2004 e assunto come testo base da fondersi con altri due nel 2005 dalla stessa Commissione, anche allora da lui presieduta, che avrebbe potuto portare a una legge equilibrata, ma non arrivò mai in Aula. Esso partiva infatti dal ragionato presupposto costituzionale dell’autodeterminazione in materia di salute per confermare che ogni trattamento sanitario “è subordinato all’esplicito ed espresso consenso dell’interessato, prestato”, “dopo accurate informazioni”, “in modo libero e consapevole”. Le “direttive” (altro che “orientamenti e informazioni utili per il medico”, come vogliono le DAT) contenute nelle sue “dichiarazioni anticipate”, dovevano essere “impegnative per le scelte sanitarie del medico”, salvo in presenza di “sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche” non previsti dall’interessato al momento della redazione. Eppure, prima che Welby lanciasse il suo grido, il 28 luglio del 2006, qualcuno (Giordano Bruno Guerri) scrisse, a favore della proposta di legge presentata quell’estate da Umberto Veronesi, su “Il Giornale”: “Non c’entra essere di destra o di sinistra: si tratta di lasciare all’individuo una scelta fondamentale e inalienabile sulla propria vita …”, “… il diritto alla libertà personale è un fondamento della Costituzione italiana”, “… con la nuova legge sarà lo stesso malato a decidere, non di morire, ma di non venire più ‘curato’ oltre ogni ragionevolezza”, “… una libera scelta che non obbliga nessuno, ma che non può essere ulteriormente negata a tutti, sempre e comunque …”

Eppure …

(4 ottobre 2011)

http://temi.repubblica.it/micromega-online...ndino-di-stato/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 19/10/2011, 12:15




Udine, istituito registro dei testamenti biologici

Grazie a un accordo tra Comune e Consiglio dei notai di Udine, è nato un registro per la raccolta delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti di natura medica. La convenzione durerà tre anni e i cittadini potranno recarsi in comune ogni lunedì e depositare le proprie decisioni, utilizzando un modulo apposito. Il presidente del consiglio notarile Giancarlo Suitner ha precisato “non accetteremo dichiarazioni in contrasto con norme esplicite di legge, come staccare la spina.”
Flavio Pietrobelli

http://www.uaar.it/news/2011/10/13/udine-i...enti-biologici/
 
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Alessandro Baoli
view post Posted on 29/10/2011, 13:20




Vignola (Mo), testamenti biologici sospesi per intervento della prefettura

A Vignola (Mo), come riporta il quotidiano locale Modena Qui, il registro dei testamenti biologici attivato dal Comune nel giugno 2010 è stato sospeso dall’amministrazione.
L’assessore Francesca Basile (IdV) ha così motivato l’intervento: “il registro dei Testamenti Biologici è sospeso per una circolare della Prefettura. Sono direttive del Ministero dell’Interno inviate ai Comuni dalla Prefettura, perché la materia di fine vita rientra nell’esclusiva competenza del legislatore nazionale”.
Le opposizioni si sono chieste perché solo Vignola applica direttive nazionali mentre in molti altri comuni d’Italia i registri funzionano.
Flavio Pietrobelli
28 10

http://www.uaar.it/news/2011/10/28/vignola...nto-prefettura/
 
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114 replies since 14/1/2009, 11:53   2787 views
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