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Il catechista 37enne che molesta le 15enni con le foto del pene. Il prete invoca il silenzio., Finale Emilia. Don Bernabei: "Che ne sarà di Valentino, additato come un mostro?"

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view post Posted on 20/7/2020, 05:29

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Don Bernabei: "Che ne sarà di Valentino, additato come un mostro?"

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Don Bernabei a Chi l'ha visto?

www.sulpanaro.net/2020/07/finale-e...-chi-lha-visto/
Finale Emilia, il pericolo corre sui social, la denuncia a “Chi l’ha visto”
FINALE EMILIA – Una ragazzina di 15 anni viene contattata su Instagram da un giovane che dice di avere 17 anni: in realtà di anni ne ha 37, e lei lo riconosce come uno del paese, che canta nel coro della chiesa. La madre della ragazzina chiede a “Chi l’ha visto” di raccontare questa storia in TV perché la sua paura è che l’uomo abbia contattato qualche altra bambina oltre a sua figlia.

La storia girava con audio di WhatsApp già da diversi giorni sui cellulari di alcuni finalesi, in cui si raccontava come si fosse avvistato il giornalista Pablo Trincia in città.

COSA HA RACCONTATO “CHI L’HA VISTO”

Ed è proprio Trincia che a “Chi l’ha visto” del 15 luglio ha raccontato la storia di Valentino (nome di fantasia), un uomo di Finale Emilia con una vita apparentemente normale, che secondo l’inchiesta giornalistica nasconde però un lato oscuro: nella notte diventa un predatore on-line e si mette a cercare sui social ragazzine che nella vita già conosce, per spiare e insinuarsi nelle loro vite facendo “l’amico”. Una delle sue vittime è una ragazzina di Finale che ha praticamente visto crescere: Monica (nome di fantasia) in lui vede un conoscente che frequenta la parrocchia e che faceva il catechista, e lo descrive come una persona “disponibile, aperta, capace di dare dei consigli e mettere a proprio agio”. Una recita perfetta – dice la trasmissione tv – che era la chiave per carpire informazioni e avvicinarsi alle future vittime.

Cosi ricostruisce “Chi l’ha visto”. Un giorno Monica viene contattata su Facebook da uno che dice di essere un ragazzo di Bologna di 19 anni, che si fa chiamare Luca Reggiani; dopo qualche giorno lui inizia a farle domande intime e lei lo blocca, e l’incidente sembra chiudersi lì. Poi, dopo 2 anni il ragazzo ricompare su Instagram: dopo qualche giorno di scambi di messaggi, lui torna all’attacco e questa volta con immagini pornografiche e messaggi spinti. Molestie, in una parola. Monica fa finta di nulla, ma man mano che lui scrive lei si insospettisce e crea un altro profilo con cui lo contatta: con altro nome, lui abbocca e le lascia il cellulare. Che con grande sorpresa di Monica, corrisponde a quello di Valentino, secondo la ricostruzione fatta da “Chi l’ha visto”.

Paura e sconcerto, da parte della ragazza, che non pensava che l’uomo si potesse spingere a questi livelli: la ragazza ne parla con la madre che capisce, già in passato – racconta – aveva avuto delle avvisaglie.

Il servizio del programma della Rai racconta di come la donna lo abbia incontrato e lo abbia affrontato a muso duro, muovendogli pesanti accuse supportate da foto e messaggi: si vede in tv che Valentino si sente braccato e confessa, rivela la sua vera identità e si scusa.

La madre di Monica lo informa che avrebbe detto tutto in parrocchia e quindi lei racconta in tv di aver contattato ilparroco di Finale: da cui però, in cambio, avrebbe ricevuto parole fumose e pare, soprattutto, altre domande. Una su tutte: “Cosa ci fa tua figlia, che è una ragazzina, sui social?”, in perfetto stile “victim blaming”.


Il giornalista ricostruisce i fatti e a questo punto della storia, prosegue la trasmissione, Valentino viene rimosso dal coro: gli viene proibito di insegnare catechismo e partecipare ai campi estivi. Ma nella primavera successiva, pare sia stato già reintrodotto in parrocchia e il giorno della cresima del fratello di Monica, avrebbe cantato in chiesa come se nulla fosse accaduto: “E’ un ambiente dove si è visibili a tutti, nessuno si nasconde e finita la messa ognuno se ne va a casa propria” si giustifica in tv il parroco. A cui vengono mostrate foto e fatti ascoltare i messaggi che Valentino ha scritto a Monica: il parroco abbozza.

Valentino comunque nel frattempo continua col suo schema malato: contatta con le stesse modalità un’altra ragazzina, che lo blocca. Sua mamma racconta che la figlia inizia a contattare gli amici per spargere la voce e segnalare gli screen della conversazione, imparando che altre ragazze erano state importunate da lui. “Questa persona frequenta un determinato ambiente, e in questo ambiente io mi aspetto che venga allontanato e denunciato, e che non abbia a che fare più con bambini e ragazzine”, dichiara la donna al giornalista.

Una testimonianza al telefono da parte di una ragazza ormai cresciuta che ha vissuto lo stesso calvario scoperchia definitivamente la pentola: il servizio racconta che il comportamento del molestatore pare sia un fatto che tutti conoscono bene già da anni, ma nessuno – è l’accusa lanciata in tv’ abbia mai fatto nulla per risolvere la situazione. Il giornalista di “Chi l’ha visto” va a cercare Valentino e tenta di intervistarlo, per capire da lui in prima persona cosa pensa e come si giustifica: il volto oscurato, dopo un rifiuto iniziale, Valentino dice a un certo punto che “ci sta male” e che “ha già pagato con se stesso”. Il giornalista gli legge i messaggi che inviava alle ragazzine a voce alta. “Lo psicologo mi ha aperto gli occhi non sono questo, io” risponde Valentino, che si trova in grande difficoltà. Il giornalista lo incalza, e lo accusa di autoassolversi: “Io sono qua a chiederti con gentilezza di tenerti lontano dalle ragazzine”. Il servizio si conclude infine con una promessa di Valentino: “Certo che lo farò”. Lo sguardo del giornalista che chiude l’intervista, però, non è parso comunque molto convinto.


www.sulpanaro.net/2020/07/molestie...unciato-subito/

Molestie sessuali, don Daniele parla delle vittime: “Perchè non hanno denunciato subito?”
FINALE EMILIA – “E’ scoppiata all’improvviso tutta questa vicenda con toni molto violenti: come mai, dopo un anno e mezzo, e non subito quando successe? Perché non lo si è denunciato 18 mesi fa ai carabinieri, anziché sbattere adesso l’intera vicenda sui giornali e sui social? È stata questa la via “buona” che bisognava percorrere“. Don Daniele parla della vicenda delle molestie sessuali da parte di un catechista subite da alcune ragazzine finalesi, e punta il dito sulle vittime: “Perchè non hanno denunciato subito?“, chiede. E aggiunge risponde così alla sua domanda retorica “Se la via percorsa è stata buona o meno lo si evince dal clima che si vive in questi giorni nel nostro paese. Laddove c’è divisione, violenza, spirito di vendetta, critica efferata sicuramente lì non c’è il Signore. “Dio è misericordia”: non significa far finta di niente di fronte ai problemi, ma che da questi problemi occorre scegliere la via che è per la vita delle persone. A parte il sottoscritto, cosa ne sarà del nostro Valentino, sbattuto sui giornali, sugli schermi di un’intera nazione, additato come mostro in tutta la nostra cara Finale?”

A Finale Emilia non si smorzano le polemiche sul caso scoperchiato da “Chi l’ha visto”. In prima serata su Rai 3 il giornalista Pablo Trincia ha raccontato le malefatte di un catechista che mandava messaggi porno e foto del suo pene alle ragazzine agganciate in chiesa e in palestra. La faccenda è andata avanti per diverso tempo, finchè una delle vittime ha trovato il coraggio di confidarsi con la madre e la storia è arrivata alla stampa.

Don Daniele adesso ha scritto su Facebook un post esplicativo, rivelando che era stato lo stesso molestatore a informarlo di quanto stesse accadendo in quei giorni.

www.facebook.com/permalink.php?sto...44146&__tn__=-R

Scrive don Daniele.

Il parroco, uomo di comunione

Tra i diversi “abiti” del sacerdote troviamo differenti colori: il verde, il bianco, il rosso e il viola. A ciascuno di essi è ***ociato un significato: il verde, per la vita di tutti i giorni, il bianco per i momenti di festa, il rosso per il fuoco dello Spirito Santo che dà vita e il viola, per i funerali e i tempi penitenziali. Oggi, nella nostra comunità di Finale, si addice particolarmente quest’ultimo colore.
Quando sono diventato prete, e, in modo specifico, quando ho accettato di diventare parroco di Finale Emilia, sapevo che non mi sarebbe toccato un percorso facile, guardando in primis alla ricostruzione post-terremoto, quindi, ad una realtà, quella della Bassa, a me completamente sconosciuta. Ma ho sentito risuonare dentro di me quel famoso “Eccomi”, che non si basa tanto sulle mie capacità umane, ma nella volontà di fare quello che il Signore aveva pensato per me.
La cosa fondamentale, che ho sempre cercato di perseguire, è che essere parroco significa fare il bene della comunità che ti è affidata.
Mi dispiace tanto se da questa vicenda traspare un disegno cattivo di nascondere qualcosa di brutto, insomma, dando l’impressione che io abbia agito per fare il male del nostro paese.

Nel periodo natalizio del 2018, appena partito per qualche giorno di riposo sulle nevi delle Dolomiti, fui raggiunto da una telefonata di primo mattino da parte di un giovane che ne aveva combinata una molto grossa e mi chiamava per “svuotare” il suo cuore. Subito, in quella stessa giornata contattai i miei superiori per capire insieme come avrei dovuto comportarmi e così decidemmo: pur non essendo ancora tutto chiaro, per prudenza e per evitare ogni reiterabilità, avrebbe lasciato immediatamente il catechismo e le esperienze dei campeggi parrocchiali, avrebbe iniziato un percorso con uno psicologo per affrontare le sue fragilità; quindi avrei chiamato la mamma della ragazza minorenne, vittima di una chat “hard”.
Così feci. Non ho mai incontrato personalmente la mamma dell’adolescente, non ho mai visto lo scambio dei messaggi in questione: le telefonai e – ricordo ancora – rimasi colpito dalla gentilezza con cui mi parlò (pensavo che i toni sarebbero stati molto più forti). Allora, dopo averle espresso tutto il mio dispiacere per quanto accaduto e per le ripercussioni sulla ragazza, mi spinsi a chiedere cosa ci facesse una ragazzina sulle chat in orario notturno e lei, con tanta cortesia, mi spiegò dei dubbi che avevano su una certa persona, che poi, con l’inoltrarsi della conversazione, si svelò per quella che sappiamo. Le comunicai, quindi, le tre decisioni suddette e ne aggiunsi una quarta: “Signora, se vuole denunciare il ragazzo, in base a quello che è successo, si senta libera di fare quello che meglio crede”. È chiaro che questo avrebbe comportato una certa “pubblicità” per il paese, ma non avendo io visionato il materiale, lasciai la decisione alla responsabilità della madre. Ci salutammo in maniera cordiale e non la sentii mai più.

Nel frattempo comunicai al nostro “Valentino” (per usare il nome dell’intervista) che gli avrei tolto ogni ruolo educativo. Decisi però di lasciarlo nel coro della parrocchia, quindi in un contesto aggregativo. Mi dissi: se lo escludo anche dal coro, dove va a finire quell’accoglienza nei confronti di chi ha sbagliato e che, ora, proverà a rimettersi in carreggiata?
D’altra parte, fino a prova contraria, la nostra giurisprudenza sostiene la presunzione d’innocenza e come pastori, fatto tutto ciò che è necessario per evitare ogni rischio e così tutelando le persone, non ci è chiesto di “eliminare” una persona dalla comunità, se non di fronte a situazioni conclamate. Cosa avrebbe fatto Gesù al posto mio? Probabilmente avrebbe cercato in ogni maniera di stare vicino alla persona che ha sbagliato, evitandogli ogni occasione che potesse metterlo di nuovo in situazione di nuocere e dandogli la possibilità di recuperare attraverso la correzione. Ebbene, il Vangelo è scomodo, non tanto da commentare, quanto da vivere!
Tra i vari ambiti aggregativi parrocchiali, quello del coro è quello più circoscritto e più “sott’occhio”: la sagrestia è un ambiente di 20 metri quadrati, il prete si prepara lì per la messa, non c’è alcuna opportunità di molestare nessuna ragazza, e mai nessuna ragazzina è venuta da me dicendo che qualcuno le aveva anche solo sfiorato la spalla.
Il nostro Valentino più volte, uscendo dalla messa domenicale, mi aggiornava del suo percorso a Modena e dei passi in avanti che faceva. Io ero sereno e pensavo che la cosa si fosse definitivamente risolta. Invece, è scoppiata all’improvviso tutta questa vicenda con toni molto violenti: come mai, dopo un anno e mezzo, e non subito quando successe? Perché non lo si è denunciato 18 mesi fa ai carabinieri, anziché sbattere adesso l’intera vicenda sui giornali e sui social? È stata questa la via “buona” che bisognava percorrere?
Se la via percorsa è stata buona o meno lo si evince dal clima che si vive in questi giorni nel nostro paese. Laddove c’è divisione, violenza, spirito di vendetta, critica efferata sicuramente lì non c’è il Signore. “Dio è misericordia”: non significa far finta di niente di fronte ai problemi, ma che da questi problemi occorre scegliere la via che è per la vita delle persone. A parte il sottoscritto, cosa ne sarà del nostro Valentino, sbattuto sui giornali, sugli schermi di un’intera nazione, additato come mostro in tutta la nostra cara Finale?
Come Chiesa siamo sempre disposti a collaborare con le autorità preposte per chiarire la vicenda e anche in questo abbiamo agito nel rispetto delle vittime e delle loro famiglie e per evitare le possibilità di pericolo, escludendo ogni atteggiamento di connivenza. Nello stesso tempo chiediamo a chi fosse a conoscenza di reali situazioni di reati con minori – a partire dai loro stessi genitori – di agire presso le autorità competenti perché si faccia chiarezza, senza dare spazio a illazioni o a mormorazioni, tanto peggiori quanto più tardive.

Vorrei, però, ringraziare, e non lo faccio per dire, le persone che in questi giorni mi hanno offeso nelle diverse chat. Non le ringrazio per le offese, si intende, ma per l’occasione che mi danno di vivere il Vangelo. Certe frasi della Bibbia le sento ancora più mie: “Sentivo le insinuazioni di molti: “Terrore all’intorno! Denunciatelo e lo denunceremo”. Tutti i miei amici spiavano la mia caduta […]. Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso” (Geremia 20, 10-11); “Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (Matteo 10, 16) e “Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Luca 23, 31).
Ora mi sento come un legno secco che ha ancora voglia di continuare a bruciare, di infiammare il paese dell’amore del Signore, anche attraverso le vicende tristi e lieti del nostro paese. Se però di questa fiamma non ci sarà più bisogno a Finale, allora andrò dove il Signore riterrà necessario.

Don Daniele Bernabei
Parroco di Finale Emilia
17 Luglio 2020

https://www.facebook.com/permalink.php?sto...44146&__tn__=-R
Carlo Valmori

Il Servizio Interdiocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili di Modena, Nonantola e Carpi interviene sul caso Finale E.
“Alla luce di questi elementi oggettivi don Bernabei ha agito correttamente, con scrupolo e prudenza, a tutela dei minori della sua comunità…”.
Non mi piace; e perché non mi piace,
perchè:
afferma che il soggetto responsabile sarebbe “responsabile, secondo quanto affermato nel servizio televisivo”.
No, non secondo il servizio televisivo, neppure perché lo dicono le vittime o i genitori delle stesse, è responsabile perché lo ha ammesso lui stesso a don Daniele.
Non c’è nessuna prova da cercare, non c’è nessuna ‘indagine previa’ da eseguire, non c'è nessun colpevole da scoprire: c’è una confessione.
Fatta peraltro solo dopo essere stato smascherato e quindi spaventato delle possibili conseguenze, non per spontaneo pentimento.
Perchè:
don Daniele non ha avvertito le autorità preposte (carabinieri), pur nell’ evidenza del reato, ma ha lasciato ai genitori la scelta se farlo o meno; non è stato il migliore dei consigli. E pare proprio che non l'abbia fatto neppure la Diocesi di Modena, una volta informata dei fatti.
Seppur riservato ai casi che interessano i chierici, il Vademecum recentemente licenziato dalla Congregazione per la dottrina della fede, che detta le procedure da adottare nei casi di abusi sessuali sui minori, prescrive:
17. ‘Anche in assenza di un esplicito obbligo normativo, l’autorità ecclesiastica presenti denuncia alle autorità civili competenti ogni qualvolta ritenga che ciò sia ndispensabile per tutelare la persona offesa o altri minori dal pericolo di ulteriori atti delittuosi’.
Appunto perché i chierici sono sottomessi all’ autorità ecclesiale che vi è un margine di discrezionalità, nei casi in cui invece l’unica autorità è quella civile, come in questo caso, la discrezionalità non dovrebbe esserci: c’è l’obbligo normativo di denuncia del reato. E' del tutto evidente che don Daniele a suo tempo non ha ‘collaborato con le autorità preposte’, come ieri ha dichiarato di essere disposto ora a fare.
Perché:
da più parti si dice che la persona responsabile abbia sempre manifestato degli evidenti problemi comportamentali, c’è chi sostiene che si sapesse da sempre che molestava le adolescenti.
Viene spontaneo chiedersi allora come sia stato possibile che la curia finalese abbia dato in mano per tanti anni ad una persona del genere dei bambini e degli adolescenti nel ruolo di catechista.
Don Daniele non s’era accorto di nulla?
Anche escludendo ogni responsabilità diretta, ogni accondiscendenza, se mezzo paese lo sapeva e lui non lo sapeva non ci fa una gran bella figura come pastore.
Perché:
si vuol far intendere che don Daniele ha taciuto all’autorità civile e ha tenuto nel coro questa persona per una sorta di carità cristiana.
Ha taciuto perché contava sulla remissione dei peccati data dal pentimento e sul superamento delle turbe dopo le sedute dallo psicologo?
Un bell’azzardo, una bella responsabilità. Un bel rischio per tutti i minori che lo incontravano nel circuito della parrocchia.
L’Arcidiocesi ci informa che da poche settimane è operativo il centro di ascolto del Servizio Interdiocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili finalizzato alla prevenzione degli episodi di abusi attraverso la formazione e la sensibilizzazione di sacerdoti ed educatori.
Bene.
C’è da augurarsi che faccia un buon lavoro di formazione e di prevenzione per il futuro, perché fino ad oggi è stato un disastro.

https://www.sulpanaro.net/2020/07/molestie...responsabilita/
Molestie sessuali a Finale Emila, la Curia difende don Daniele e invita i giornalisti alla responsabilità
FINALE EMILIA – Molestie sessuali a Finale Emila, la Curia difende don Bernabei e invita i giornalisti alla responsabilità. Un nuovo intervento della Diocesi modenese mentre infervora il dibattito sullo scandalo rivelato a “Chi l’ha visto” cerca di porre qualche punto fermo nel dibattito.

I fatti sono iniziati nel 2018: un catechista di 37 anni contatta via social una ragazzina e le fa apprezzamenti sessuali e le manda messaggi hot con tanto di fotografie del suo pene. Lei si confida con la madre, la quale va a parlare con il parroco. L’uomo sparisce dalla circolazione per un po’: lascia sia il catechismo che il centro estivo. Ma ricompare presto nel coro, come se nulla fosse. La madre della vittima cerca allora aiuto nella stampa, e così esce fuori che nel frattempo ci sono tante altre ragazzine molestate dal 37enne: tutte giovanissime, agganciate in chiesa o in palestra.

Si poteva fare di più? La chiesa ha qualche responsabilità nel modo in cui è stata gestita la questione? Perchè quando don Daniele è stato intervistato in tv ha dato l’impressione di voleri ridimensionare l’allarme, e ha posto dubbi sul comportamento dalla vittima? Ecco la replica della Curia:

Nei giorni scorsi i mezzi di comunicazione hanno riferito di un caso a Finale Emilia che vede coinvolto un signore che frequenta anche la parrocchia, ex catechista, responsabile, secondo quanto affermato nel servizio televisivo, di vari tentativi di adescamento di ragazze minorenni attraverso i social.

Il Servizio Interdiocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili di Modena e Carpi ha seguito con particolare attenzione il caso suddetto e, considerato il rispetto delle più recenti indicazioni normative e pastorali per affrontare simili situazioni all’interno delle strutture della Chiesa, esprime piena vicinanza e incoraggiamento alle minori oggetto di molestia e alle loro famiglie, al Parroco don Daniele Bernabei e all’intera comunità di Finale Emilia, affinché nella piena verità si possa ricomporre l’unità, in un clima rispettoso e accogliente.

Alcune note utili alla comprensione dei fatti:

1) Nel servizio televisivo compaiono a più riprese dichiarazioni di don Bernabei estrapolate strumentalmente da un dialogo con il giornalista molto più articolato e alterandone il pensiero. Inoltre non si fornisce all’ascoltatore un riferimento temporale
dei fatti in questione, che risalgono alla fine del 2018.

2) È infatti in quel momento che il Parroco, venuto a conoscenza di un episodio, solo parzialmente e senza i pesanti dettagli contenuti nelle chat, e trovato conferma dalla famiglia di una vittima, ha informato tempestivamente i Superiori e subito ha
provveduto a rimuovere l’autore di questi atti da ogni servizio educativo verso i minori.

3) La permanenza dell’autore nel coro parrocchiale non è da intendersi come sottovalutazione, e tanto meno come copertura, ma come conseguente valutazione di ordine pastorale da parte del Parroco, certo condizionata dalla non conoscenza dei
pesanti dettagli presenti nelle chat e del fatto che fossero state coinvolte altre ragazze minorenni, come emerso nel servizio televisivo.
Alla luce di questi elementi oggettivi don Bernabei ha agito correttamente, con scrupolo e prudenza, a tutela dei minori della sua comunità: revocando responsabilità educative all’autore, consigliandogli un percorso terapeutico poi effettivamente svolto, offrendo ascolto alla persona offesa, proponendo la denuncia dei fatti alle Autorità civili e rispettando i diritti dell’accusato.

L’Arcidiocesi di Modena-Nonantola – ricordano dallaCuria – da poche settimane ha reso operativo il centro di ascolto del Servizio Interdiocesano per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili con l’intento di affrontare con determinazione l’impegno per la prevenzione degli episodi di abusi innanzitutto attraverso la formazione e la sensibilizzazione dei sacerdoti, degli educatori e degli operatori pastorali.

Tutti, sacerdoti, genitori, educatori, giornalisti sono chiamati ad esercitare il proprio lavoro con senso di responsabilità avendo a cuore il bene dei nostri ragazzi.
In particolare per la comunità ecclesiale, spronata con insistenza da Papa Francesco ad agire “affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più”, è richiesta “una conversione continua e profonda dei cuori (…) così che la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la piena credibilità dell’annuncio evangelico e l’efficacia della missione della Chiesa. Questo diventa possibile solo con la grazia dello Spirito Santo effuso nei cuori, perché sempre dobbiamo ricordare le parole di Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). Anche se tanto già è stato fatto, dobbiamo continuare ad imparare dalle amare lezioni del passato, per guardare con speranza verso il futuro”. (Francesco, Vos estis lux mundi2019).
 
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