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Libri: John Allen Paulos, La prova matematica dell'inesistenza di Dio

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topometallo
view post Posted on 28/10/2008, 13:22 by: topometallo




Ho trovato la prefazione di Odifreddi al libro (o almeno parte di essa).
E da bravo fan :) la invio

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubr...ne=80&sezione=e

CITAZIONE
Dio? E' inesistente

Da Sant'Anselmo all'odierno creazionismo: così il matematico Paulos confuta le prove portate nel corso dei secoli a supporto della fede


PIERGIORGIO ODIFREDDI

Pubblichiamo la prefazione di Pier Giorgio Odifreddi al volume La prova matematica dell’inesistenza di Dio (ed. Rizzoli, pp. 168, euro 12) di John Allen Paulos.

E’ possibile dimostrare l’affermazione che «Dio non esiste »? Certo, e molto facilmente! Consideriamo infatti quest’altra: «Questa affermazione e la precedente sono entrambe false». Se essa fosse vera, dovrebbe essere falsa (insieme alla precedente), perché è appunto ciò che dice. Questa contraddizione dimostra che la seconda affermazione non può essere vera, e dunque dev’essere falsa. Ma allora è vero il contrario di ciò che dice, e le due affermazioni non possono essere entrambe false. E poiché abbiamo appena dimostrato che la seconda lo è, la prima affermazione dev’essere vera: dunque, Dio non esiste.

Una volta sistemato il principale, possiamo passare al suo sedicente vicario in Terra: sostituendo l’affermazione «Dio non esiste» con «il papa non esiste», si può infatti ripetere lo stesso ragionamento e arrivare alla conclusione che anche questa affermazione è vera. Con un colpo di bacchetta magica abbiamo dunque fatto sparire dalla scena anche Benito XVI (come lo chiamano gli spagnoli, con gran divertimento dei progressisti italiani), e ripetendo il giochetto possiamo analogamente eliminare uno a uno, come petali di una gigantesca margherita, non solo i cardinali e i vescovi, ma addirittura tutti i preti di ogni religione e i credenti di ogni fede. Pensate che meraviglia, per noi che rimaniamo: come aveva infatti predetto José Saramago, «il mondo sarebbe molto migliore se fossimo tutti atei».

C’è solo un piccolo, insignificante problema: basta guardarsi attorno per accorgersi che i credenti non sembrano essere consci di non esistere, e nonostante la nostra inoppugnabile dimostrazione continuano imperterriti a rendere questo mondo molto peggiore con la loro presenza. Anzi, qualcuno di loro versato in queste cose potrebbe addirittura ritorcerci contro i nostri argomenti: non solo dimostrando che siamo noi non-credenti a non esistere, ma addirittura arrivando a provare che «Dio esiste », esattamente nello stesso modo in cui noi abbiamo provato il contrario.

Come si può indurre in generale da questo esempio, gli argomenti a favore o contro l’esistenza di Dio sono controvertibili e controversi. E, soprattutto, lasciano il tempo che trovano, non fosse altro perché si appellano al lato sbagliato del cervello: la religione trova infatti la sua ragion d’essere nell’emisfero destro, sede dell’istinto e della visceralità, e non viene minimamente scalfita dagli attacchi che le vengono sferrati dall’emisfero sinistro, sede della logica e della razionalità. Non è dunque per convincere i credenti che la loro religione non sta in piedi, che un matematico come John Allen Paulos ha scritto La prova matematica dell’inesistenza di Dio : semplicemente, il suo libro vuol essere, ed è, una «refutazione matematica degli argomenti per l’esistenza di Dio».

Anche se non eliminerà né i fedeli né i preti, e meno che mai il papa e Dio, questa decostruzione della teologia non è comunque inutile, ed è anzi molto utile, per almeno tre motivi. Anzitutto, perché mostra come sia vano cercare di stabilire in maniera puramente teorica un fatto eminentemente pratico, come l’esistenza di qualcosa o di qualcuno: solo l’osservazione e gli esperimenti possono farlo, e qui passa il confine tra il razionalismo e l’empirismo che divise la filosofia moderna ai suoi albori, separando Cartesio, Spinoza e Leibniz da un lato, e Locke, Berkeley e Hume dall’altro.

Non a caso, è soprattutto nelle opere dei primi, per esempio nelle Meditazioni di Cartesio e nell’Etica di Spinoza, che ci si appella agli argomenti intellettuali per l’esistenza di Dio, ed è soprattutto nelle opere dei secondi, per esempio nei Dialoghi sulla religione naturale e nella Storia naturale della religione di Hume, che si smontano le credenze popolari e le religioni istituzionali. Ma è nelle grandi opere di Kant, la Critica della ragion pura e la Critica della ragion pratica, che sono coniugate al meglio queste due tendenze: la prima, infatti, fa piazza pulita delle argomentazioni «pure», cioè razionali, per credere nell’esistenza di Dio, mentre la seconda presenta le motivazioni «pratiche», cioè irrazionali, per continuare a crederci nonostante tutto.

Il secondo motivo per cui una decostruzione della teologia è utile, sta nel fatto che essa richiede comunque una certa sofisticazione intellettuale: in fondo, già seguire l’argomento che abbiamo proposto nel primo paragrafo non è cosa per tutti i dilettanti, e capire dove sta l’inghippo è addirittura cosa da pochi professionisti. Dietro ai supposti argomenti per l’esistenza di Dio si celano infatti sottili problematiche di tipo logico, la cui analisi è un ottimo allenamento al ragionamento in generale, e un’ottima introduzione alla logica in particolare. (...)

Il terzo motivo, infine, per cui decostruire la teologia è un’attività benemerita, è che in tal modo si smaschera una pessima e diffusa abitudine delle persone: quella di prendere posizione a favore o contro un argomento, senza sapere bene di cosa si stia parlando. Nello specifico, di rispondere «sì» o «no» alla domanda se credono in Dio, senza prima aver domandato a loro volta precisazioni su che cosa si intenda per «Dio», perdio!

E invece, poiché la nozione ha molteplici accezioni, le domande sulla sua esistenza possono avere altrettante risposte diverse. Per esempio, un conto è parlare di un primo motore, e un altro di una causa prima, o di un ente necessario, o di un ente perfetto, o di un fine ultimo: cioè, delle cinque «vie» che Tommaso d’Aquino discusse nella sua Summa Theologiae e che, come anticipò filosoficamente Kant nella sua prima Critica, e come conferma scientificamente Paulos nel suo libro, sono più precisamente delle «vie senza uscita» che non conducono a nulla e da nessuna parte.

Naturalmente, sarebbe comunque un eccesso di stima nei confronti dei credenti pensare che dietro alle motivazioni della loro fede ci siano sempre argomenti sofisticati: nella maggior parte dei casi, essi si riducono infatti a far appello a banalità che non vale neppure la pena di perder tempo a refutare, dall’impersonale «qualcosa ci dev’essere» al personalissimo «sento che qualcosa c’è». E, in fondo, i media prosperano proprio speculando sul fatto che la gente è molto più impressionata dalle sciocchezze che non capisce, che dalle cose serie che potrebbe capire: per questo i giornali e le televisioni eccedono in resoconti di improbabili eventi straordinari, ma difettano di notizie su sicure scoperte scientifiche.(...)

Ma nonostante il rosario di refutazioni e motivazioni snocciolato da Paulos nel suo denso libro, il problema principale rimane irrisolto: non se Dio ci sia, ma perché la gente continui a pensare che ci sia. Mistero della fede, ovviamente, anche se il più grande mistero è sicuramente perché mai la gente creda ai misteri. E non è un mistero senza conseguenze perché, come ha detto Voltaire, «chi crede ad assurdità, finisce per commettere atrocità». O, come ha precisato il premio Nobel per la fisica Steven Weinberg, «con o senza religione, i buoni si comportano bene e i cattivi male, ma ci vuole la religione per far comportare male i buoni».

 
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6 replies since 14/9/2008, 10:43   1251 views
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