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'Ndrangheta. Don Strangio condannato a 9 anni e 4 mesi. Il vescovo non lo spreta: "addolorato per il prete", "Pienamente inserito nelle famiglie mafiose" il rettore del Santuario di Polsi, dove la Madonna va in processione coi capiclan

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Rettore del Santuario di Polsi, dove la Madonna va in processione coi capi dei clan




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www.strettoweb.com/2016/05/reggio-c...ellenti/409333/


Reggio Calabria, FOCUS sugli indagati dell’operazione “Fata Morgana”: tanti nomi eccellenti
Reggio Calabria, tra gli indagati dell’operazione “Fata Morgana” c’è anche il parroco del Santuario di Polsi don Pino Strangio

10 maggio 2016 16:31 | Ilaria Calabrò
don pino strangio santuario polsiCi sono politici, magistrati, preti e tanti “insospettabili” tra gli indagati dell’inchiesta “Fata Morgana” che ha portato oggi a 7 fermi e maxi sequestri a Reggio Calabria. Tra loro c’è persino una figura emblematica per quella che è stata la storia di questa terra, un servitore dello Stato di altissimo spessore come il magistrato Giuseppe Tuccio, già procuratore della Repubblica e sempre in prima fila, nel corso dei decenni, nella lotta alla criminalità organizzata non a parole ma con i fatti e il suo lavoro al servizio dello Stato. In base alle prime indiscrezioni investigative, la sua figura sembrerebbe molto marginale rispetto all’inchiesta, legata a un presunto “favore” da parte della Provincia sul libro recentemente scritto dal magistrato, un presunto “favore” che tra l’altro non avrebbe favorito personalmente Tuccio ma la Casa Editrice che ha pubblicato il volume. Su facebook sono numerosissimi gli attestati di stima e solidarietà nei confronti del giudice, da parte di tanti reggini increduli e convinti che su questa posizione verrà al più presto fatta chiarezza.

RaffaCi sono poi molti altri indagati in stato di libertà più vicini al nucleo cardine dell’inchiesta: il presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa, di Forza Italia, già Sindaco f.f. di Reggio Calabria tra 2010 e 2011, ma anche il sacerdote Giuseppe “don Pino” Strangio, di San Luca in Aspromonte, canonico del Santuario Mariano della Madonna della Montagna di Polsi. Sono indagati, tra gli altri, anche il cancelliere capo della Corte d’Appello Aldo Inuso, l’ex presidente della Reggina Calcio Pino Benedetto, l’avvocato Rocco Zoccali, il consigliere provinciale di Reggio Demetrio Cara che sostiene la maggioranza di centrodestra, l’ex assessore ai Trasporti del Comune Amedeo Canale (sempre di centro/destra) ed un impiegato del Consiglio regionale, Giovanni Pontari. Stamani i finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno perquisito le loro abitazioni ed i loro uffici. Secondo l’accusa, il cartello di “colletti bianchi” avrebbe “condizionato” molte attività economiche “manipolando” la gestione, soprattutto per quel che riguarda la grande distribuzione. Tutto ciò avveniva con la complicità di funzionari pubblici.

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com...don-don-e-il-1/
Don, “don” e il Santuario che piace alla ‘ndrangheta
29 agosto 2008 Roberto Galullo
Religione e criminalità organizzata non vanno a braccetto. Bella forza – direte voi – come potrebbe la Chiesa cattolica offrire indulgenza a mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti? Quali principi e valori possono condividere cattolici e mafiosi, oltre la scenografia di un santino che brucia in mano ad un affiliato di Cosa Nostra o una Bibbia sul tavolino di Bernardo Provenzano? Pietà cristiana sì, quella si può e si deve capire. Magari va bene anche l’assoluzione dei peccati in punto di morte. In privato, doverosamente. E sempre che il pentimento – ma vatti a fidare – sia autentico.
Meglio sarebbe la scomunica nei confronti dei criminali che hanno la vigliaccheria di sciogliere un bambino di 11 anni nell’acido, penserete voi con me, ma – sapete com è – la secolarizzazione dei costumi colpisce anche preti e suore ai quali non ha mai fatto difetto una certa prudenza. Uomini di mondo, insomma, che talvolta fanno “cheese” di fronte ai fotografi di Chiesa quando celebrano matrimoni di mafiosi, battezzano figli di camorristi latitanti, impongono estreme unzioni a capibastone o celebrano la comunione di ‘ndranghetisti pluriomicidi.
Uomini di mondo che chiudono un occhio sapendo che alla festa del Santo patrono i mafiosi latitanti sfilano nascosti tra la folla (mi sono trovato in questa situazione molti anni fa a Mammola, paese aspromontano dove la ‘ndrangheta cresce come i capperi tra le fessure delle case di Pantelleria).
Vale la pena chiuderlo un occhio. L’altro deve rimanere ben aperto per contare i soldi che dai clan vengono versati ai comitati patronali o per la ristrutturazione della facciata della parrocchia. Se Gesù ha assolto dai peccati un ladrone sulla croce volete che il Don di turno non possa essere tollerante verso un boss, “don” anche lui?
Miei cari amici di blog, per carità di Dio – è il caso di dire – lungi da me l’idea di mancare di rispetto a chi rappresenta Nostro Signore in Terra. Sono cattolico, apostolico e doverosamente peccatore perché so resistere a tutto tranne che alle tentazioni.
So anche, però, di dovere alla cultura cattolica – quella vera e autentica – la mia intolleranza nei confronti dell’illegalità. Quella cultura che mi è stata infusa da ragazzo, a Roma, oltre che dalla mia famiglia, da Padre Antonio Fusilli. Un prete abruzzese coraggioso, che fu trasferito a Milano dove – a fine anni Settanta – organizzò tra le siringhe le prime fiaccolate contro la droga. Passò i guai anche per questo ma andò avanti senza paura.
E’ per questo che quando si avvicina la Festa della Madonna della Montagna mi deprimo. Quest’anno poi, non ne parliamo. Ma procediamo con ordine.
In Aspromonte, ogni anno, si celebra questa festa che presso il Santuario di Polsi richiama – dal 24 agosto al 2 settembre e oltre – migliaia e migliaia di persone e fedeli da tutta la Calabria. In particolare dalla provincia di Reggio. Ebbene anche le pietre sanno che, per decenni, in occasione della Festa, i capi della ‘ndrangheta si sono dati appuntamento per decidere strategie, pianificare omicidi, fare affari, stringere alleanze o dichiarare guerre. Un rito pagano che per anni ha accompagnato la Festa cristiana. Questo sembra – figurarsi se si hanno le prove – sia accaduto anche tre anni fa, prima dell’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale calabrese, Francesco Fortugno. Questo, sembra, sia accaduto anche dopo la strage tedesca di Duisburg del Ferragosto 2007. Leggete questa intercettazione raccolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio il 13 settembre 2007, un mese dopo la strage che lasciò sul campo sei persone (una era stata appena “punciuta”, cioè affiliata, con un santino che bruciava in mano).
Antonino Gioffrè, figlio del boss, rivolgendosi ad una amico dice ”abbiamo sistemato a San Luca, tutto bene tutti chiusi…capito? Non si spara più se tutto va bene”. Dall’ordinanza non e’ chiaro il ruolo della Chiesa quando un altro dei figli del boss, Domenico, parlando con un amico dice : ”Poi ieri e’ uscito Don Pino il prete…e il vescovo brigantino benvenuto – gli ha detto – ad un grande uomo di Seminara il nostro – ha detto – amico Rocco Gioffrè e ci teniamo – ha detto – a dare questa soddisfazione per la pace quando gli ha detto (…) poi il prete ha detto la cosa nella chiesa: ha detto ringrazio sull’anima di mio padre – ha detto – tutta Seminara – e un grande uomo di Seminara Shalom – ha detto Don Pino – Shalom a Seminara e a tutto il mondo intero”. Il tutto peraltro attribuito agli stessi uomini dei Gioffrè che si vantavano di avere ottenuto le benemerenze della chiesa.
Dalla Curia di Locri, dai Carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e dai magistrati della Dda, sono partite smentite a un servizio della ‘Stampa’ in cui si parlava della presenza al summit di Monsignor Giancarlo Bregantini, il Vescovo che ha speso una vita contro la ‘ndrangheta che a gennaio 2008 è stato trasferito a Campobasso perché altrimenti, come dichiarò Don Antonio Riboldi sfidando l’ipocrisia dei vertici ecclesiastici, “sarebbe stato ammazzato dalle cosche”.
L’onorevole Angela Napoli di An all’epoca dichiarò: “Non posso nascondere la mia preoccupazione nell’apprendere la notizia del summit mafioso svoltosi a Polsi nello scorso mese di settembre, in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna. Anche una parte dei rappresentanti della Chiesa di quel territorio aveva tranquillizzato tutti coloro che sono attenti ai fenomeni mafiosi, ed in particolare dopo la strage avvenuta a Duisburg nello scorso mese di agosto, che Polsi non rappresentava più l’antico ‘sito’ dei summit mafiosi. Siamo, purtroppo, costretti ad apprendere che la ‘ndrangheta, pur avendo cambiato in parte le sue strategie, continua a ricorrere alle abitudini ed alle protezioni di sempre”.
E siamo ai giorni nostri e alla mia tristezza che spero – amici di blog – voi condividiate. Io non so se quel “bregantino” dell’intercettazione sia Monsignor Bregantini e se veramente abbia doverosamente interceduto per far giungere ad una pace (temporanea) le famiglie Pelle-Vottari e Nirto-Strangio che si stavano trucidando. Non so neppure se quel “Don Pino” dell’intercettazione sia il parroco di San Luca e rettore del Santuario di Polsi, Don Pino Strangio.
So solo che Monsignor Bregantini – che ha strappato ettari e ettari di campi alle cosche impiantando al loro posto cooperative agricole odiate dai boss – non c’è più. E so che Don Pino Strangio ha dichiarato a chi scrive – nel corso di una puntata della mia trasmissione su Radio 24 “Guardie o ladri” andata in onda sabato 9 agosto e che può essere riascoltata sul sito www.radio24.it – che a Polsi i boss non si sono mai dati appuntamento. Leggende metropolitane, insomma. Sfidando il ridicolo oltre che le evidenze investigative, le dichiarazioni dei politici e la realtà, Don Pino Strangio ha negato che quel Santuario sia un richiamo irresistibile per la ‘ndrangheta oltre che per i fedeli. Lo stesso Don Strangio che – raccontano le cronache dei giornali locali i bene informati – non ha certo pianto quando Monsignor Bregantini ha avuto l’”onore” – mai chiesto e anzi osteggiato – di andare a Campobasso.
Insomma, mentre io scrivo e voi leggete – potete giurarci – Polsi sarà ancora un richiamo irresistibile per i capi della ‘ndrangheta. Ho motivo per essere triste? Ah, padre Antonio Fusilli, tu che da se anni sei tornato tra le braccia del Padre, dimmi: ma perche la Chiesa non ha sempre e soltanto il volto di Cristo sulla Croce che muore per i nostri peccati?
[email protected]

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/ar...a-faida-va.html
rchivio > la Repubblica.it > 2007 > 09 > 02 > Tra Madonna e 'ndrangheta...
Tra Madonna e 'ndrangheta dove la faida va in processione
>giuliano foschini Polsi (reggio calabria) - C' è un posto solo in Calabria "dove si conosce la vera natura degli uomini", scriveva Corrado Alvaro. Un posto dove anche i maschi pregano. E la ' ndrangheta finisce e insieme comincia: il monastero di Polsi. E' qui che la letteratura religiosa e quella mafiosa si sposano, è qui che la notte tra l' uno e il due settembre la gente di San Luca, la gente di Aspromonte, si riunisce per pregare la Madonna di legno. Lo hanno fatto anche ieri, in tanti, migliaia di persone guardate a vista da poliziotti e carabinieri in divisa e in borghese. Lo faranno anche stamattina, nello stomaco i sei morti di Duisburg e i 40 arresti di pochi giorni fa. «Polsi non è un posto da capire - spiega don Pino Strangio, prete a San Luca e rettore del monastero - è un posto in cui pregare. Questo però è un anno speciale, speriamo davvero che veramente la Madonna faccia il miracolo: in paese deve tornare la pace. Basta con tutto questo sangue». Ha ragione, don Pino. Polsi non è un posto qualsiasi. E' il luogo della devozione popolare. Ma è anche quello dove una volta all' anno viene eletto il capo del Crimine, «ovvero - spiegano i Carabinieri in un' informativa alla procura - la carica di massimo vertice della 'ndrangheta, una sorta di presidente del consiglio di amministrazione di una società». Polsi è un monastero seduto nell' Aspromonte che dalle montagne prende il suo aspetto tetro nel tratto e nell' architettura, come un fumetto di Dylan Dog. Da San Luca dista 27 chilometri e un' ora e mezza di auto, perché nel 2007 per arrivarci l' unica strada percorribile è uno sterrato che attraversa un fiume prosciugato e un percorso battuto che taglia il bosco. «Vuole così la 'ndrangheta» dicono gli investigatori, «Senza strade è più difficile arrivarci». «Lo vuole la politica» hanno detto i sindaci della locride che qui si sono riuniti ieri mattina per discutere di come rilanciare questa terra partendo dal manifesto del professor Vito Teti, antropologo dell' Università di Cosenza. «Un posto fuori dalla comunicazione, fuori dalle strade - dice don Pino - è un posto morto. Ed è chiaro che qui ci saranno sempre gli operatori di morte». Ogni anno, quando non era in galera, era qui che Gianluca Nirta, il boss dei boss, attrezzava insieme con la sua famiglia un chioschetto per vendere i giocattoli. Il 2 settembre mai nessuno screzio con l' altro clan, per rispetto alla Madonna, anche se poi per sicurezza si tornava a San Luca in orari diversi. La pregano tutti la Madonna. Ce l' avevano i Nirta appesa in un bunker e Sebastiano Strangio all' ingresso del suo ristorante a Duisburg. Un anno fa esatto Nirta e i Vottatri, i Pelle e gli Strangio, erano uno accanto all' altro qui a Polsi. Come accade una volta sola ogni 25 anni c' era da portare in spalla la statua in pietra della Madonna, privilegio che tocca proprio ai cittadini di San Luca. Quaranta famiglie, secondo un vecchio elenco del 1920. Tra le altre c' erano anche quelle della faida. Una accanto all' altra. C' erano anche ieri sera, le donne di San Luca. Erano venute a piedi dal paese senza pesare troppo i cognomi. Vedove di 'ndrangheta e di giustizia, mamme di morti e di arrestati. «Il figlio è appena stato arrestato» dice un poliziotto in borghese. E indica una signora bruna, qualche filo bianco in testa, che si butta in ginocchio, cammina così per il corridoio della chiesa, striscia la lingua per terra e poi prende a cantare. L' organo suona. E a suonarlo è Elisa Giorgi, la sorella di Francesco, il 16enne ammazzato a Duisburg. «Seguite l' esempio di sua madre, donne. L' esempio del perdono» dice il vescovo di Locri, Giancarlo Bregantini. Alle 22 l' anfiteatro è pieno. I poliziotti osservano. «C' era chi dopo Natale e Ferragosto, temeva altri morti in questo giorno di festa: ora però sono tutti dentro» spiega uno degli uomini in servizio. Chi non c' è finito, però, potrebbe essere qui. Gli 11 sfuggiti all' arresto, o magari Giovanni Strangio, il killer di Duisburg. Gli inquirenti sono sicuri che sia lui ad aver sparato: nella sua auto, abbandonata in Germania, c' erano tracce di polvere da sparo. Per paradosso se lo acciuffassero a Polsi o a San Luca (dove lo cercano) o in qualsiasi altro paese europeo non potrebbero arrestarlo. Il mandato di cattura della polizia tedesca non è internazionale. «Noi lo prenderemmo comunque e lo porteremmo in caserma perché lo conosciamo - spiegano i ragazzi in divisa, a Polsi - ma se lo fermassero a Milano, per esempio, date le generalità il ragazzo potrebbe andare via». La sua faccia è su tutti i giornali. Ma il suo nome non è nel database italiano dei ricercati.
GIULIANO FOSCHINI
02 settembre 2007 sez.

Edited by pincopallino1 - 8/8/2023, 22:02
 
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Il parroco di San Luca: “Qui il sindaco non serve”
RedazioneRedazioneGiu 17, 2016Calabria, In EvidenzaNessun CommentoLike
Dichiarazione forte di don Pino Strangio: “La gente non vuole che il commissario prefettizio Salvatore Gullì vada via”.
CATANZARO – La comunità, dopo l’esperienza con il commissario prefettizio Salvatore Gullì ha capito che c’è più bisogno di lui che di un sindaco. La gente sta raccogliendo delle firme per non farlo andare via, visti i rapporti che ha saputo creare”. Sono le dichiarazioni che don Pino Strangio, parroco di San Luca, ha rilasciato in esclusiva a Klaus Davi nel corso dell’ultima puntata del programma ‘Gli Intoccabili’ trasmesso dall’emittente calabrese LaC Tv, parlando delle elezioni nel centro aspromontano.
“Sono 36 anni che sono qui. Ho chiesto – ha detto – di andare via però il vescovo ha sempre detto “Deve rimanere, non deve lasciare San Luca. Se mi hanno tenuto qui ci sarà un motivo”. Il parroco è iscritto nel registro degli indagati della Procura di Reggio Calabria nell’ambito della inchiesta ‘Fata Morgana‘, coordinata dal Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Don Pino Strangio e’ indagato per associazione segreta, insieme all’ex deputato Paolo Romeo, il commercialista Natale Saraceno, l’avvocato Antonio Marra, gli imprenditori Giuseppe Chirico, Antonio Idone, Domenico Marcianò ed Emilio Angelo Frascati. Ho parlato con il vescovo – ha spiegato – e gli ho detto che attendo con fiducia quello che farà la giustizia poi vedremo il da farsi. Ho conosciuto Paolo Romeo (l’ex parlamentare secondo l’accusa avrebbe favorito la ‘ndrangheta in alcune attività economiche di Reggio Calabria, ndr), Marra era il mio avvocato”.
 
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Massoneria, politica e clan: coinvolti un prete, un pentito e una giornalista (ECCO TUTTI I NOMI)
RedazioneRedazioneDic 31, 2016Calabria, In Evidenza1
Si va alla sbarra per quello che sarà uno dei maxi-processi della storia della masso-‘ndrangheta. Settantadue le persone indagate per aver pilotato appalti, voti, concorsi, sentenze e assunzioni.



REGGIO CALABRIA – Riunite in unico processo le più importanti inchieste eseguite nel 2016 dai carabinieri, dalla polizia e dalla guardia di finanza e note a tutti con i nomi di “Mammasantissima”, “Sistema Reggio”, “Fata Morgana”, “Reghion” e “Alchimia”. Ieri è arrivata la resa dei conti: l’ufficiale giudiziario ha bussato alla porta di 72 persone, cui è stato notificato dalla Dda di Reggio Calabria l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, per i reati di associazione mafiosa, voto di scambio, violazione della legge Anselmi, corruzione, estorsione, truffa, falso ideologico e rivelazione di segreti d’ufficio. Personaggi pubblici, uomini di successo, della politica, in carica e non; in affari con la ‘ndrangheta e la massoneria deviata. Faccendieri, personalità di spicco nelle istituzioni pubbliche, nello Stato; persino un sacerdote, un magistrato in pensione, una giornalista e un collaboratore di giustizia. Sono tutti loro quelli che, per la Procura distrettuale antimafia, tenevano in pugno la città dello Stretto.



Facevano affari con mafiosi per pilotare ogni cosa: posti di lavoro, appalti, concorsi pubblici, ecc. Un gruppo variegato, una “cupola di invisibili” potentissima, secondo gli inquirenti, capeggiata da i “De Stefano”, la cosca numero uno di Reggio. Ieri, per i primi 72, l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, firmato dal procuratore Federico Cafiero De Raho, l’aggiunto Gaetano Paci e i sostituti Giuseppe Lombardo, Roberto Di Palma, Stefano Musolino, Giulia Pantano e Walter Ignazitto. Si va alla sbarra, dunque, per quello che sarà uno dei maxi-processi della storia della masso-‘ndrangheta. Al centro dell’inchiesta le due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina: gli avvocati Paolo Romeo (ex parlamentare del Psdi) e Giorgio De Stefano, “soggetti cerniera” che interagiscono tra l’ambito “visibile’ e quello occulto dell’organizzazione criminale”. Spicca, poi, il senatore Antonio Caridi (in carcere da agosto per l’ordinanza di custodia cautelare per associazione mafiosa emessa nei suoi confronti, nell’ambito di “Mammasantissima”); l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra (ex An); il presidente della Provincia di Reggio Giuseppe Raffa (Forza Italia). Oltre a loro, come braccio operante e “cerniera” tra i due mondi, Francesco Chirico.



Ma sono tanti gli invisibili, divenuti ormai visibilissimi agli occhi di tutti. Avviso anche all’ex sindaco di Villa San Giovanni Antonio Messina e al prete di San Luca don Pino Strangio, parroco del santuario di Polsi (imparentato con i Nirta-Strangio, fu lui a stabilire la pace tra le cosche protagoniste della strage di Duisburg). E anche in questo caso, don Pino mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti della ‘ndrangheta. Poi due uomini che avrebbero dovuto rappresentare la legge e dunque la giustizia: il magistrato in pensione Giuseppe Tuccio e l’avvocato Antonio Marra. E ancora la giornalista Teresa Munari; l’ex assessore comunale Amedeo Canale; Saverio Genoese Zerbi e il funzionario della Corte d’Appello Aldo Inuso. Tutti accusati di far parte di un’associazione segreta, capace di infiltrarsi negli enti locali dettandone gli indirizzi politici. Nell’inchiesta sono coinvolti anche due dipendenti del Tribunale di Reggio Calabria, Maria Antonietta Febbe e Andrea Santo Tortora, accusati di falso e truffa per aver aiutato un aspirante avvocato a superare l’esame di ammissione alla professione. Il 2016 si apre con 72 nomi eccellenti di persone nel campo degli indagati. Chissà il 2017 cosa riserverà a chi ne è rimasto fuori.



ECCO I NOMI DEGLI INDAGATI
Vincenzo Amodeo, Reggio Calabria – 61 anni
Antonino Araniti, Reggio Calabria – 38 anni
Domenico Aricò, Reggio Calabria – 46 anni
Vincenzo Carmine Barbieri, Reggio Calabria – 55 anni
Giovanni Cacciola, Reggio Calabria – 65 anni
Marcello Camera, Reggio Calabria – 60 anni
Amedeo Antonio Canale, Reggio Calabria – 42 anni
Demetrio Cara, Reggio Calabria – 49 anni
Antonio Caridi, Reggio Calabria – 47 anni
Carmelo Giuseppe Cartisano, Reggio Calabria – 42 anni
Angela Chirico, Reggio Calabria – 26 anni
Antonino Chirico, Reggio Calabria – 24 anni
Domenico Chirico, Reggio Calabria – 28 anni
Domenico Chirico, Reggio Calabria – 30 anni
Francesco Chirico, Reggio Calabria – 72 anni
Francesco Chirico, Reggio Calabria – 55 anni
Giuseppe Chirico, Reggio Calabria – 56 anni
Paola Colombini, Reggio Calabria – 41 anni
Dimitri De Stefano, Reggio Calabria – 43 anni
Giorgio De Stefano, Reggio Calabria – 68 anni
Alessandro Delfino, Reggio Calabria – 50 anni
Maria Antonietta Febbe, Reggio Calabria – 58 anni
Maria Luisa Franchina, Reggio Calabria – 61 anni
Lorena Franco, Reggio Calabria – 26 anni
Roberto Franco, Reggio Calabria – 56 anni
Emilio Angelo Frascati, Reggio Calabria – 60 anni
Saverio Genoese Zerbi, Reggio Calabria – 72 anni
Primo Gioé, Reggio Calabria – 47 anni
Pasquale Massimo Gira, Reggio Calabria – 50 anni
Paolo Giustra, Reggio Calabria – 52 anni
Antonio Idone, Villa San Giovanni – 56 anni
Giuseppe Iero, Reggio Calabria – 24 anni
Aldo Inuso, Reggio Calabria – 56 anni
Elena Mariaserena Inuso, Reggio Calabria – 29 anni
Domenico Marcianò, Reggio Calabria – 23 anni
Antonio Marra, Reggio Calabria – 61 anni
Maria Angela Marra Cutrupi, Reggio Calabria – 52 anni
Anna Rosa Martino, Reggio Calabria – 46 anni
Antonio Messina, Reggio Calabria – 45 anni
Andrea Miceli, Palermo – 36 anni
Antonino Miceli, Palermo – 74 anni
Angela Minniti, Reggio Calabria – 45 anni
Giovanni Sebastiano Modafferi, Reggio Calabria – 39 anni
Roberto Moio, Reggio Calabria – 52 anni
Teresa Munari, Reggio Calabria – 69 anni
Bruno Nicolazzo, Reggio Calabria – 49 anni
Antonino Nicolò, Reggio Calabria – 64 anni
Alessandro Nicolò, Reggio Calabria – 31 anni
Carmelo Salvatore Nucera, Reggio Calabria – 57 anni
Domenico Nucera, Reggio Calabria – 71 anni
Giovanni Pellicano, Reggio Calabria – 64 anni
Domenico Pietropaolo, Reggio Calabria – 81 anni
Giovanni Pontari, Reggio Calabria – 57 anni
Giuseppe Raffa, Reggio Calabria – 57 anni
Giuseppe Rechichi, Reggio Calabria – 56 anni
Rosario Rechichi, Reggio Calabria – 56 anni
Giovanni Carlo Remo, Reggio Calabria – 58 anni
Paolo Romeo, Reggio Calabria – 69 anni
Saveria Saccà, Reggio Calabria – 47 anni
Natale Saraceno, Reggio Calabria – 53 anni
Alberto Sarra, Reggio Calabria – 50 anni
Andrea Scordo, Reggio Calabria – 70 anni
Michele Serra, Reggio Calabria – 49 anni
Giuseppe Smeriglio, Reggio Calabria – 52 anni
Domenico Stillitano, Reggio Calabria – 54 anni
Mario vincenzo Stillitano, Reggio Calabria – 50 anni
Giuseppe Strangio, San Luca – 60 anni
Andrea Tortora, Reggio Calabria – 36 anni
Gaetano Tortorella, Reggio Calabria – 62 anni
Giuseppe Tuccio, Reggio Calabria – 82 anni
Rocco Antonio Zoccali, Reggio Calabria – 66 anni
Giovanni Zumbo, Reggio Calabria – 69 anni
 
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http://www.lametino.it/Cronaca/sacerdote-i...o-di-polsi.html

Sacerdote indagato lascia la guida del Santuario di Polsi
Sabato, 28 Gennaio 2017 15:40

pino-strangio.jpgSan Luca (Reggio Calabria) - Don Pino Strangio non è più il rettore del Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, in Aspromonte, che ha guidato per 20 anni. Il vescovo di Locri, infatti, ha accettato la richiesta di dispensa fatta dallo stesso don Pino, parroco di San Luca, dopo avere ricevuto un avviso di conclusione indagini notificato dalla Dda di Reggio Calabria nell'ambito di un procedimento che sintetizza cinque diversi filoni investigativi. Il sacerdote è indagato per associazione mafiosa Secondo l'accusa, Strangio "mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell'ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della 'ndrangheta". Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di culto mariano noto anche per i summit che, secondo quanto è emerso da diverse inchieste, le cosche di 'ndrangheta vi tenevano in coincidenza della festa dell'1 e 2 settembre per decidere strategie e affari.

Stamani il vescovo di Locri mons. Francesco Oliva ha incontrato don Pino e don Antonio Saraco ai quali ha consegnato una lettera nella quale accetta la la richiesta di dispensare don Pino dall'incarico di Rettore e lo affida a don Tonino. "Desidero condividere con voi - ha scritto il prelato - questo momento tanto delicato per la vita del nostro Santuario diocesano di Polsi. Il mio saluto va anzitutto a te, don Pino, che, dopo quasi venti anni di servizio ininterrotto, mi hai chiesto di essere dispensato da un così gravoso impegno pastorale al Santuario, in modo da seguire con più attenzione i tuoi problemi personali. Lasci l'incarico dopo aver speso per esso tante energie e tempo. Hai custodito il Santuario, proteggendolo dai tanti pericoli che 'l'aspro monte' nasconde in sé, valorizzandone l'indole accogliente e sapendo ovviare alle difficoltà dovute alle vie di accesso sempre precarie e soggette alle intemperie della stagione invernale. Il Signore ricompensi te ed i tuoi collaboratori per il sevizio svolto. Ora il testimone passa a don Tonino.

A te, don Tonino, viene consegnata un'eredità di fede, tradizione, arte, storia e cultura, che sarai chiamato a conoscere, amare e servire. Polsi è nel cuore dell'Aspromonte e della Calabria. Grembo di una Madre che nel corso dei secoli ha accolto e rigenerato tanti suoi figli, ma che ha anche sofferto per le profanazioni subite a causa di fatti e misfatti, di complicità e sangue versato da gente senza scrupoli, in nome spesso di una religiosità deviata e non vera". "Polsi come grembo di madre - ha concluso mons. Oliva - è chiamata a generare alla vita cristiana ed a convertire i peccatori al Vangelo. Un Vangelo che rifiuta il compromesso col potere del denaro e delle armi, della violenza e dell'arroganza mafiosa. Essere luogo di spiritualità e di fede: è questa la sfida su cui si gioca il futuro del nostro Santuario. Dovrai esserne fedele e coraggioso interprete".
 
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http://www.iacchite.com/ndrangheta-e-masso...tanti-avvocati/

‘Ndrangheta e massoneria, a Reggio alla sbarra anche un prete, una giornalista e tanti avvocati
Da Iacchite - 10 marzo 2017
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Nel processo “Gotha”, che sintetizza cinque diverse inchieste da “Mammasantissima” a “Sistema Reggio”, da “Fata Morgana” a “Reghion” e “Alchimia”, il gup di Reggio Calabria ha rinviato a giudizio 40 imputati tra i quali il senatore Antonio Caridi, l’ex parlamentare Paolo Romeo, l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra, l’ex rettore del Santuario della Madonna di Polsi don Pino Strangio, l’ex presidente della Provincia Giuseppe Raffa, l’ex magistrato Giuseppe Tuccio.

Tra le persone per le quali il gup Antonino Laganà ha disposto il giudizio, figurano anche la giornalista Teresa Munari, lo psichiatra Rocco Zoccali, l’avv. Antonio Marra, l’ex dirigente del settore Lavori pubblici del comune di Reggio Calabria Marcello Cammera. L’inizio del processo è stato fissato per il 20 aprile. Con il rito abbreviato saranno giudicati, invece, a partire dal 29 marzo, l’avv. Giorgio De Stefano, l’ex vicepresidente di Fincalabra spa Nuccio Idone, l’imprenditore Angelo Frascati, l’avv. Paola Colombini, l’ex sindaco di Villa San Giovanni Antonio Messina, il pentito Roberto Moio, il medico chirurgo Giovanni Pellicano, il commercialista Giovani Zumbo, insieme ad esponenti della ‘ndrangheta di Reggio Calabria.

Secondo l’accusa, Caridi, De Stefano, Romeo, già condannato in passato per concorso esterno, Sarra ed il dirigente della Regione Francesco Chirico, indicato come elemento di spicco dei De Stefano, sarebbero stati componenti di quella struttura segreta legata alla massoneria che, ponendosi al vertice della piramide ‘ndranghetista, interagiva sistematicamente e riservatamente con politica, istituzioni, mondo imprenditoriale e bancario e condizionava ogni tipo di elezione nella provincia di Reggio Calabria.
 
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Faide, politica e appalti: ecco chi bussava alla porta di don Pino Strangio
“Gotha”, il sacerdote punto di riferimento assoluto: vedeva la cosca Gioffrè come “famiglia di pace”, ordinava cavalieri di ordini inesistenti ed era consigliori di politici in rampa di lancio. E Rosy Canale e il padre ipotizzarono di comprare voti: 5mila euro al sacerdote e 10mila al boss per 2000 preferenze
di Consolato Minniti lunedì 16 ottobre 2017 20:18 50 condivisioni

Faide, politica, appalti. «Don Pino Strangio, nella comunità di San Luca, è ritenuto un punto di riferimento anche nelle decisioni». È il 3 luglio scorso, quando il tenente colonnello dei carabinieri, Alessandro Mucci, depone davanti al Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Silvia Capone. È una delle prime udienze corpose del processo “Gotha” e l’ufficiale dell’Arma è chiamato a rispondere alle domande non solo del collegio, ma soprattutto del pm Stefano Musolino e delle difese. A lui tocca affrontare un argomento particolarmente complesso: don Pino Strangio, la storica figura ecclesiastica, per molti anni rettore del Santuario di Polsi, il luogo in cui la ‘ndrangheta aveva stabilito il cuore dei suoi riti e delle decisioni da ratificare. Polsi, che per fortuna oggi si sta decisamente liberando di questa scomoda etichetta, per divenire solo un luogo di culto, ha rappresentato un crocevia d’interesse investigativo non solo per quanto concerne i summit di ‘ndrangheta, ma anche per le altre decisioni che lì venivano prese. Perché è a don Strangio che bisognava fare riferimento in campo politico e per i lavori da realizzare nel cuore dell’Aspromonte.

Il ruolo del sacerdote
Secondo l’accusa don Pino Strangio sarebbe stato un prete un po’ troppo aperto a questioni che poca attinenza avevano con la religione. Per i pm, infatti, sarebbe stato partecipe di un’associazione segreta di tipo massonico, al cui interno don Strangio, grazie a quell’autorevolezza conquistata sul campo, avrebbe mediato «nelle relazioni fra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘ndrangheta».
Le origini: il ceppo familiare e i sequestri
Don Pino non è un mafioso. E non nasce da una famiglia legata a fatti di ‘ndrangheta. A dispetto del cognome che porta, don Strangio fa parte di un ceppo che non ha riconoscimenti nelle locali articolazioni criminali. Ma le sue prime vicende legate alla giustizia, risalgono addirittura al 1984, quando «durante una perquisizione a Montecatini, fu trovato in possesso di una banconota da 100mila lire, risultata provento di un riscatto per la liberazione di un sequestrato», spiega il colonnello Mucci. «Subito dopo – prosegue – ci fu una perquisizione nell’abitazione del padre di don Pino Strangio» e furono trovate altre 100mila lire, provenienti dal pagamento del riscatto pagato per la liberazione di Carlo De Feo di Napoli. Certo, non era difficile che all’epoca i soldi dei sequestri di persona potessero circolare velocemente, ma la circostanza viene comunque ritenuta significativa dal teste.

Gioffrè, una cosca “di pace”
E se è vero che San Luca è stato luogo simbolo, assieme a Platì, dei sequestri a scopo estorsivo, è pur vero che della cittadina aspromontana si torna a parlare in tutto il mondo per la celebre strage di Duisburg. I morti in terra tedesca rischiano di scatenare una carneficina senza sosta. E allora, annotano le indagini dei carabinieri nell’inchiesta “Topa”, vi è un passaggio in cui si fa riferimento ad un intervento di don Pino Strangio «in cui lo stesso avrebbe espresso una manifestazione di apprezzamento, di saluto nei confronti di esponenti della famiglia Gioffrè di Seminara, che, nella circostanza, vengono definiti uomini di pace». Proprio la cosca della piana di Gioia Tauro, infatti, fu tra quelle che si spese maggiormente per ristabilire la pace e far cessare la faida fra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio.


Calcio, accademie e ordini non riconosciuti
Ora, se certamente era un intento lodevole quello di voler lavorare per evitare altre morti, gli atti d’indagine dimostrano come diversificati fossero gli interessi di don Pino Strangio, anche in altri settori della vita pubblica. Celebre rimane l’episodio che lo vede, in qualità di presidente della squadra di calcio della Nuova Folgore, squalificato per due mesi, a causa del minuto di silenzio osservato da alcuni giocatori, dopo la morte, il 4 novembre 2009, del boss ‘Ntoni Pelle “Gambazza”. Una “responsabilità oggettiva”, in quanto massimo esponente della squadra. Sempre don Pino Strangio faceva parte dell’Accademia Bonifaciana, una Onlus in cui rientrava anche Sebastiano Nirta, l’imprenditore che si rese irreperibile nel procedimento “Italia che lavora”, per essere poi individuato pochi giorni dopo l’esecuzione del provvedimento. Nell’informativa in questione, ricorda il colonnello Mucci, compare anche un giornalista di Bovalino, Ferdinando Piccolo, e un imprenditore di Gerace Domenico Lizzi, rispettivamente segretario e delegato per la Calabria dell’Accademia Bonifaciana. L’ufficiale dell’Arma ricorda che il 18 agosto del 2013, nel corso di una cerimonia tenutasi al Santuario della Madonna di Polsi, Nirta, Piccolo e Lizzi «sono stati nominati cavalieri del Santuario di Polsi». Una nomina che arriva direttamente da don Strangio, sebbene trattati di «onorificenza non riconosciuta dalla Curia, né da altri ordinamento nazionali e/o sovranazionali». A quella cerimonia, però, erano presenti anche altre personalità insignite del medesimo titolo, come ricordato da Mucci, tramite la consultazione di fonti aperte. Oltre Lizzi, Piccolo e Nirta, risultano anche il luogotenente dell’Arma, Cosimo Sframeli, Pietro De Luca e Stefano Stefanelli.


Gli appalti al Santuario
Anche per quanto concerne i lavori da effettuare all’interno del Santuario, il riferimento doveva essere sempre don Pino Strangio. Questa volta nella sua qualità di rettore. Secondo quanto riportato da Mucci, il prete s’interessa per far realizzare all’impresa di Sebastiano Nirta (lo stesso nominato cavaliere) dei lavori in difformità da quanto era previsto. Contatti emergono pure con Nicola Romano, imprenditore condannato in appello a 17 anni di reclusione nell’inchiesta “Saggezza”. Mucci parla senza mezzi termini di una «impossibilità di fatto, da parte di imprenditori diversi da quelli di San Luca, di poter provare a vedersi aggiudicati i lavori del Santuario di Polsi, i lavori di restauro del portale, per la particolarità del contesto di San Luca». Ecco perché bisogna parlare con don Pino Strangio.

Sarra e la candidatura di Giorgi
Non solo faide. Non solo appalti. Anche politica. Era un consigliori non da poco, don Pino Strangio, secondo quanto riporta il colonnello Mucci. In occasione delle elezioni del 2010, infatti, «emerge a un certo momento della campagna elettorale che al sindaco di San Luca Giorgi Sebastiano – spiega il militare – fu prospettata da Saverio Zavettieri (ma dopo emergerà che fu Alberto Sarra a fare la proposta, ndr) la possibilità di candidarsi alle elezioni regionali e ricevuta questa... peraltro nella richiamata vicenda quindi della prospettazione di possibilità di candidarsi alle elezioni regionali nell’informativa da me richiamata del Nucleo Investigativo di Locri questo era emerso dalla censura dei contatti tra Giorgi Sebastiano e Alberto Sarra, che appunto fa riferimento alla possibilità per il Giorgi Sebastiano di candidarsi. Il dato ritenuto rilevante e pertinente nella informativa su don Pino Strangio è che Giorgi Sebastiano, acquisita la proposta di candidarsi alle elezioni regionali per prima cosa chiama don Pino... cioè, decide di interpellare Don Pino Strangio in ordine a questa possibilità di candidarsi, peraltro anche con una certa urgenza, dovendo dare il Giorgi Sebastiano ad Alberto Sarra una risposta entro l’indomani mattina». Per Mucci, dunque, viene fuori la figura di don Strangio anche «nei processi decisionali e nelle scelte politiche dell’allora sindaco di San Luca».


Rosy Canale e quel pacchetto di voti da comprare
Sempre in tema di politica, ecco emergere anche un riferimento a Rosy Canale. Si trae dagli atti dell’inchiesta “Inganno”. In particolare, si tratta di un dialogo fra la Canale e il padre che, nella dinamica delle elezioni regionali, nel momento in cui era in atto l’attività d’intercettazione, ricorda Mucci, era potenzialmente candidata nella lista di Saverio Zavettieri. Discutendo «sulle sue reali possibilità di essere eletta e in particolare al bacino di voti a cui avrebbe potuto attingere nella comunità di San Luca, dove lei era attiva con la realizzazione della ludoteca presso il centro Enel Cuore, realizzato nel bene confiscato alla famiglia Pelle Gambazza di Contrada Giardino, Rosy Canale appunto fa i suoi, i propri conti sui voti che avrebbe potuto raccogliere a San Luca e diciamo nel definire la sua strategia politica dice che a un certo punto, nella discussione con il padre lei aveva una somma di denaro a disposizione di 10 mila euro da spendere per la campagna elettorale per le elezioni e discute che all’ultimo momento se le cose non fossero andate come dovevano per quanto riguarda il conseguimento di voti, con questi 10 mila euro avrebbe potuto anche comprare un pacchetto di voti. E a tale affermazione il padre Angelo risponde dicendo che avrebbe dovuto dare 5 mila euro a Don Pino e 10 mila euro a un capo bastone per raggiungere con questa operazione almeno 2000 voti». Rosy Canale, però, a quelle elezioni non parteciperà, ritirando in anticipo la sua candidatura.

Consolato Minniti
 
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‘Ndrangheta: Gotha, condannato a 25 anni ex deputato Romeo
Assolti ex senatore Caridi ed ex presidente Provincia Raffa

Da Redazione -31 Luglio 2021

L’ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo é stato condannato a 25 anni di reclusione dal Tribunale di Reggio Calabria (presidente Silvia Capone) a conclusione del processo “Gotha”. Tredici anni sono stati comminati all’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra. Sono stati assolti, invece, l’ex senatore di Forza Italia Antonio Caridi e l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria Giuseppe Raffa. Dopo oltre quattro anni di udienze si è concluso così il processo per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Dei trenta imputati, 15 sono stati condannati e 15 assolti.Per undici degli imputati giudicati non colpevoli l’assoluzione era stata chiesta anche dalla pubblica accusa. Gli imputati assolti, oltre a Caridi e Raffa, sono Giuseppe Iero, Vincenzo Amodeo, Domenico Aricò, Amedeo Canale, Demetrio Cara, Maria Angela Marra Cutrupi, Teresa Munari, Domenico Nucera, Domenico Pietropaolo, Giovanni Pontari, Andrea Scordo, Giovanni Carlo Remo e Rocco Zoccali. Oltre a Romeo e Sarra, sono stati condannati il sacerdote di San Luca don Pino Strangio, cui sono stati comminati 9 anni e 4 mesi di reclusione, e l’avvocato Antonio Marra, ritenuto l’uomo di fiducia di Paolo Romeo (17 anni). L’ex dirigente ai Lavori pubblici del Comune di Reggio Calabria, Marcello Cammera, è stato condannato a 2 anni di reclusione. Tre anni e 6 mesi di carcere sono stati comminati al commercialista Giovanni Zumbo, già condannato nel processo “Piccolo Carro” per essere stato la talpa dei boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle. Il processo “Gotha” è nato dalla riunione di alcune inchieste della Dda, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri, che nel 2016 hanno svelato l’esistenza della componente riservata della ‘ndrangheta. L’inchiesta che portato al processo é stata coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostituti Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Sara Amerio, Roberto Di Palma e Giulia Pantano. Dal processo è emerso un “sistema di potere ambiguo” che, stando ai collaboratori di giustizia sentiti in aula, è stato caratterizzato da “promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti istituzionali”. Nelle settimane scorse, nella loro requisitoria, i pubblici ministeri avevano ricostruito i fatti del processo, parlando di “una lunga stagione di sistematica penetrazione nel tessuto politico-amministrativo locale, regionale, nazionale e sovrannazionale".

https://www.corrieredellacalabria.it/2021/...-pino-strangio/

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Domenica, 01 Agosto

Ultimo aggiornamento alle 12:05

IL COMMENTO
Gotha, il vescovo di Locri: «Dolore per la condanna di don Pino Strangio»
Il presule dopo la sentenza: «Addolorato per la gravità delle accuse. Presto incontrerò il sacerdote per valutare la vicenda»
Pubblicato il: 01/08/2021 – 8:19
Gotha, il vescovo di Locri: «Dolore per la condanna di don Pino Strangio»

REGGIO CALABRIA «Essendo appena rientrato dalla visita pastorale nella Vicaria Sud della Diocesi, mi coglie improvvisa la decisione di primo grado del Tribunale di Reggio Calabria sulla vicenda processuale che interessa don Pino Strangio». Lo afferma monsignor Francesco Oliva, vescovo di Locri-Gerace, in merito alla condanna del sacerdote don Pino Strangio, nell’ambito del processo Gotha. «La condanna penale in primo grado di un sacerdote della diocesi – aggiunge – suscita dentro di me sentimenti diversi. Pur non conoscendo ancora le motivazioni della sentenza, da una parte sono profondamente addolorato per la gravità delle accuse che hanno portato alla determinazione del Collegio penale e dall’altra ho molta fiducia nell’operato della Magistratura. Mi propongo d’incontrare il sacerdote appena possibile, per un’approfondita valutazione della sua vicenda giudiziale nel contesto pastorale ed ecclesiale».
 
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Il passo indietro dopo la condanna in primo grado nel processo Gotha
Don Pino Strangio si è dimesso da parroco di San Luca
Il vescovo Oliva ha rivolto parole di incoraggiamento e sostegno morale al sacerdote
di Redazione
6 Agosto 2021

In seguito alla condanna subita nel primo grado di giudizio, con la sentenza emessa il 30 luglio scorso dal Tribunale di Reggio Calabria nel processo “Gotha”, don Pino Strangio ha presentato nelle mani del vescovo di Locri-Gerace, monsignor Francesco Oliva, le proprie dimissioni da tutti gli incarichi pastorali. Il vescovo, comprendendone le ragioni, ha accettato le dimissioni, rendendosi altresì conto delle difficoltà del sacerdote che in questo momento è chiamato a sostenere un delicato percorso giudiziario.

L'apprezzamento di Oliva per il gesto di don Pino Strangio
Nella lettera con la quale ne ha accettato le dimissioni, monsignor Oliva ha apprezzato la nobiltà del gesto compiuto da don Pino Strangio, riconoscendone il servizio pastorale portato avanti per anni. Ha avuto nei suoi confronti parole d’incoraggiamento e di sostegno morale: “Sono certo che non ti perderai d’animo e, continuando a sentirti “servo inutile” (Lc 17, 5-10), ti lascerai guidare dal Signore e non rifiuterai quello che Egli ti chiederà”.
 
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8 Agosto 2023
Il «Prete Malandrino» Del «Gotha», «Pienamente Inserito Negli Intrecci Esistenti Tra Le Famiglie Criminali Del Territorio Di San Luca» – Prima Parte

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.08.2023 – Vik van Brantegem] – Anche se scomunicare le mafie oggi non è una priorità per la Santa Sede, come è stato detto autorevolmente [QUI], continuiamo la nostra copertura di esponenti del clero calabrese «pienamente inserito negli intrecci esistenti tra le famiglie criminali», perché per noi è ancora tra le priorità. La scomunica per le mafie, così come la tolleranza zero per gli abusi sessuali (per gli abusatori e gli insabbiatori) e non solo sull’”altare dell’ipocrisia” [QUI]. Perciò, nessuno ci convincerà di stare in silenzio, perché “i panni sporchi vanno lavati in famiglia”, visto che il cambiamento non nasce dall’interno ma avviene solo con l’esposizione nei media, “il loro peggiore incubo”.

La definizione venne usata il 23 febbraio 2019 da Valentina Alazraki – corrispondente a Roma dal 1974 dell’emittente messicano Televisa con cinque pontefici, un’autorità tra i vaticanisti e una star nel suo Paese (di tutto questo rendo testimonianza ex professo) – nel suo discorso ai 114 Presidenti delle Conferenze Episcopali di tutto il mondo, convocati dal Papa per l’incontro “La protezione dei minori nella Chiesa” dal 21 al 24 febbraio 2019 in Vaticano.

Quello che disse Alazraki allora in riferimenti agli abusi sessuali, per cui ricevette una standing ovation dai suoi colleghi in Sala Stampa della Santa Sede, vale ancora oggi, e anche per i preti collusi con le mafie: «Quante volte mi è toccato ascoltare che lo scandalo degli abusi è “colpa della stampa, che è un complotto di certi mass media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere fine a questa istituzione”». «Noi abbiamo scelto da quale parte stare. Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole?». «Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte». «Possiamo essere alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici».

Oggi, con alcuni articoli sulla stampa calabrese, del passato e del presente, ritorniamo sul caso di Don Giuseppe (Pino) Strangio, nato il 27 giugno 1956, ordinato sacerdote il 18 ottobre 1980, residente a San Luca (Reggio Calabria), spogliato da tutti gli incarichi pastorali, ma ancora annoverato tra il clero della Diocesi di Locri-Gerace [QUI].

Il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto dal giudice Silvia Capone, con i giudici a latere Andreina Mazzariello e Stefania Ciervo, il 2 agosto 2023 ha depositato le motivazioni della sentenza emessa il 30 luglio 2021 per gli imputati del processo “Gotha”. Questo processo, uno dei più importanti celebrati a Reggio Calabria dai tempi di “Olimpia”, si era concluso due anni fa in aula bunker con 15 condanne e 15 assoluzioni. Tra i condannati eccellenti l’ex Parlamentare Paolo Romeo, l’ex Sottosegretario regionale Alberto Sarra e l’ex Rettore del santuario della Madonna della Montagna di Polsi e ex Parroco della Parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca Don Giuseppe (Pino) Strangio.

Svelando un «sistema di potere ambiguo», che, stando ai collaboratori di giustizia sentiti in aula, è stato caratterizzato da «promiscuità tra ‘ndrangheta e ambienti Istituzionali», il processo “Gotha” era nato dalla riunione delle inchieste “Mamma Santissima”, “Reghion”, “Fata Morgana”, “Alchimia” e “Sistema Reggio” della Dda, coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri, dai procuratori aggiunti Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino e dai pubblici ministeri Walter Ignazitto, Sara Amerio, Roberto Di Palma e Giulia Pantano.

Nella sentenza si evidenzia la metamorfosi profonda che ha segnato la ‘Ndrangheta reggina negli ultimi tre decenni, un inabissamento obbligato dall’incalzare delle indagini giudiziari, che ha garantito affari lucrosi senza inutile spargimento di sangue, grazie anche alla rigida organizzazione che ha impedito i contatti diretti tra l’“ala militare” e i “riservati”. Poi, ha messo a nudo la commistione tra una parte dello Stato, delle forze dell’ordine, della magistratura e dei servizi segreti, la cosiddetta “Zona Grigia” e il “Sistema”, per assicurare gli successi nelle iniziative di contrasto alla criminalità organizzata e alla cattura di latitanti. Infine, lo “scambio ineguale” per favorire la eliminazione di avversari senza spargimenti di sangue, accrescendo l’ambiguità di quel rapporto che ha reso labili i confini tra apparati criminali e rappresentanti dello Stato e della Chiesa.


Don Giuseppe (Pino) Strangio.
In un articolo Don Pino Strangio, il “padrone” del santuario che piace alla massomafia, pubblicato il 5 agosto 2023 sul blog Iacchite [QUI] Alessia Candito scrive:
«Per un pezzo di Calabria, Papa Francesco può continuare a sgolarsi inutilmente [*]. In barba agli appelli antimafia del pontefice, c’è chi fra i suoi sacerdoti con ‘ndrine e clan – per di più di massimo livello – continua a trovarsi a proprio agio. E ci sta così bene da figurare fra gli imputati di un maxiprocesso antimafia, dove gli tocca difendersi dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e partecipazione ad un’associazione segreta in odor di ‘Ndrangheta. Contestazioni pesanti ma più che giustificate per i magistrati perché della terra di mezzo in cui si mischiano borghesia e clan, Don Pino Strangio – sostengono gli inquirenti – era e forse è un fondamentale punto di riferimento. Per decenni rettore del santuario di Polsi, luogo sacro dei clan che lì convergono ogni settembre per la festa della Madonna della Montagna, Don Pino di quell’umanità per anni è stato portavoce e pubblico difensore. Parente di quegli Strangio divenuti noti per la strage di ferragosto che ha mostrato alla Germania il volto più sanguinoso della ‘Ndrangheta, dal pulpito per anni il parroco ha tuonato contro giornalisti, forze dell’ordine e magistrati, accusati di perseguitare intere famiglie «solo per il cognome che portano».
Quando qualcuno osava ricordare la particolare e sospetta densità mafiosa della comunità di pellegrini che affollavano il suo santuario, era sempre il primo a insorgere. E quando qualcuno faceva notare quelle pesanti parentele che forse non facevano di lui la persona più adeguata a gestirlo, non ha mai esitato a rispondere per le rime. Don Pino Strangio «Che mandino un maresciallo a predicare, così la facciamo finita una volta per sempre» ha detto nel ‘99 con una durezza quanto meno inusuale per un “servo di dio”, sulla carta disponibile a svolgere il proprio apostolato in ogni angolo del globo Ma servo don Pino non lo è mai stato.
Di Polsi e San Luca, pugno di case arroccate sui fianchi dell’Aspromonte da cui il santuario dipende, è sempre stato il padrone, uso a diffondere il proprio verbo non solo in chiesa, ma anche per le vie del paese, dove messaggi e omelie per anni hanno risuonato grazie a potenti altoparlanti. A nome delle pecorelle della sua comunità invece, Don Pino non ha mai esitato a usare i microfoni, che per anni gli sono stati messi (o ha chiesto che gli fossero messi) sotto il naso. Indignato, su ogni media disponibile ha tuonato contro le autorità ogni volta che la Questura ha vietato i funerali pubblici di picciotti e boss per evitare che si trasformassero in informali summit. Tronfio, ha difeso la decisione dei cittadini di San Luca di voltare le spalle alla democrazia, rifiutandosi di presentare liste per le elezioni. E persino in tribunale, quando è stato chiamato a testimoniare, non ha esitato a schierarsi a difesa dei suoi. E se questo avveniva in pubblico, ben più preoccupante – dice l’inchiesta che lo ha spedito davanti ai giudici – è stata per anni l’attività che Don Pino Strangio ha svolto in segreto.
Era lui a incontrarsi regolarmente con esponenti di punta della ‘Ndrangheta reggina per discutere di candidature, elezioni, alleanze. Sempre lui a tentare di riservare a sé e ai suoi importanti finanziamenti regionali. Era lui a progettare di “offrire” un paio di latitanti di medio rango per disinnescare la pressione dello Stato su San Luca, ma soprattutto – emerge dall’inchiesta – ad alimentare la macchina del fango contro i magistrati reggini quando quei tentativi sono caduti nel vuoto. E forse non si tratta solo di iniziative personali. Per i pentiti, quello di Don Pino è un compito ereditario. «Don Stilo – dice il collaboratore Marcello Fondacaro – lasciò la sua eredità a Don Strangio di San Luca, la sua eredità intesa eredità di rapporti, di rapporti politici, di rapporti massonici». Parente del potentissimo clan Morabito di Africo, padrone dei fondi per la ricostruzione post alluvione e di una scuola trasformata in diplomificio e rifugio per affiliati e latitanti, per alcuni persino massone di rango, arrestato per mafia e poi scagionato, Don Stilo è morto senza esser mai stato raggiunto da una condanna.
Ma per i pentiti era sacerdote e uomo di riferimento della ‘Ndrangheta. E non è morto senza eredi. «Don Pino Strangio era malandrino, a Gioia Tauro – dice il pentito Antonio Russo – era ben quotato nell’ambito della ‘Ndrangheta diciamo… per la ‘Ndrangheta era un malandrino, non perché era stato battezzato ma per i fatti che lui faceva». Tutti elementi che tuttavia alla Chiesa in Calabria non sembrano essere bastati per prendere le distanze dal suo sacerdote. Ufficialmente vescovi e preti si spellano le mani per il nuovo corso – quanto meno ufficialmente – antimafia della Santa Sede, alcuni rispediscono al mittente offerte che puzzano di clan, ma a Don Pino la gerarchia cattolica calabrese non sembra voler rinunciare. Da Polsi è stato allontanato, o meglio sono state accettate le sue dimissioni. Ma a San Luca, Don Pino Strangio rimane il padrone. Della parrocchia (anche se formalmente si è dimesso, ndr) e probabilmente anche della comunità».

[*] Papa Francesco: preti, uomini e donne della ‘ndrangheta “sono scomunicati”. Le parole chiare che chiedeva la gente ferita dalla criminalità in Calabria, Papa Francesco le ha pronunciato il 21 giugno 2014 nell’ultima tappa della sua Visita Pastorale alla Diocesi di Cassano all’Jonio, la più piccola delle diocesi calabresi, durante la sua omelia per la Santa Messa nella spianata dell’area ex Insud a Sibari, frazione del comune di Cassano all’Ionio in Calabria, che fu una delle più importanti città della Magna Grecia sul mar Ionio. La ‘ndrangheta ha detto Papa Francesco, è “adorazione del male e disprezzo del bene comune”, è un “male” che “va combattuto, va allontanato”, anche dalla Chiesa che “deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere”. E ha pronunciato a braccio anche la sentenza che tanti invocavano: gli appartenenti alla ‘ndrangheta “non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”.
“Un’espressione che non era prevista nel testo ufficiale e nemmeno nell’integrazione che era stata distribuita poco prima che il pontefice iniziasse a parlare e che già conteneva i passaggi più duri nei confronti dei mafiosi. Termini che, probabilmente, Francesco ha maturato nel corso della sua giornata calabrese″, ha scritto Andrea Gualtieri su Repubblica.it il 21 giugno 2014 (2014: Papa Francesco scomunica la ‘ndrangheta. 2020: Cosa è cambiato nella Chiesa? – 27 gennaio 2020 [QUI]).

2016

‘Ndrangheta, Don Pino Strangio shock: “Qui a San Luca il sindaco non serve”
di Ilaria Calabrò
Strettoweb.com, 16 giugno 2016

“La comunità, dopo l’esperienza con il commissario prefettizio Salvatore Gullì ha capito che c’è più bisogno di lui che di un sindaco. La gente sta raccogliendo delle firme per non farlo andare via, visti i rapporti che ha saputo creare”. Sono le dichiarazioni che Pino Strangio, parroco di San Luca, ha rilasciato in esclusiva a Klaus Davi nel corso dell’ultima puntata del programma Gli Intoccabili [QUI], trasmesso dall’emittente calabra LaC Tv, canale 19 del digitale terrestre, parlando delle elezioni a San Luca.

“Sono 36 anni che sono qui. Ho chiesto di andare via però il vescovo ha sempre detto: «Deve rimanere, non deve lasciare San Luca». Se mi hanno tenuto qui ci sarà un motivo”, ha spiegato il parroco, iscritto nel registro degli indagati della Procura di Reggio Calabria nell’ambito della inchiesta “Fata Morgana”, coordinata dal Procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. Don Pino Strangio è indagato per associazione segreta, insieme all’ex deputato Paolo Romeo, il commercialista Natale Saraceno, l’avvocato Antonio Marra, gli imprenditori Giuseppe Chirico, Antonio Idone, Domenico Marcianò ed Emilio Angelo Frascati: “Ho parlato con il vescovo e gli ho detto: «Attendo con fiducia quello che farà la giustizia poi vedremo il da farsi». Ho conosciuto Paolo Romeo (secondo l’accusa avrebbe favorito la ‘ndrangheta in alcune attività economiche di Reggio Calabria ndr), Marra era il mio avvocato”.

2017
La dispensa da rettore del santuario Madonna della Montagna di Polsi

Dopo aver ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini avviate a suo carico dalla Dda per concorso esterno in associazione mafiosa e violazione della legge Anselmi, il 28 gennaio 2017 il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva, aveva dispensato Don Pino Strangio dopo oltre vent’anni dall’incarico di rettore del santuario Madonna della Montagna di Polsi, luogo simbolo per gli uomini della ‘Ndrangheta, attorno al quale, ogni settembre nei giorni della festa della Madonna, si danno appuntamento i rappresentanti dell’”ala militare” delle cosche più potenti.

Chiesa, cambio alla guida del Santuario di Polsi
Lascia Don Pino, indagato per ‘Ndrangheta
Quotidiano del Sud, 28 gennaio 2017

Don Pino Strangio non è più il rettore del Santuario della Madonna della Montagna di Polsi, in Aspromonte, che ha guidato per 20 anni.

Il Vescovo di Locri-Garace, infatti, ha accettato la richiesta di dispensa fatta dallo stesso Don Pino, parroco di San Luca, dopo avere ricevuto un avviso di conclusione indagini notificato dalla Dda di Reggio Calabria nell’ambito di un procedimento che sintetizza cinque diversi filoni investigativi.

Il sacerdote è indagato per associazione mafiosa

Secondo l’accusa, Strangio «mediava nelle relazioni tra esponenti delle forze dell’ordine, della sicurezza pubblica ed esponenti di rango della ‘Ndrangheta».

Il Santuario della Madonna di Polsi è un luogo di culto mariano noto anche per i summit che, secondo quanto è emerso da diverse inchieste, le cosche di ‘Ndrangheta vi tenevano in coincidenza della festa del 1° e 2 settembre per decidere strategie e affari. Stamani il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva ha incontrato don Pino e Don Antonio Saraco ai quali ha consegnato una lettera nella quale accetta la richiesta di dispensare don Pino dall’incarico di Rettore e lo affida a Don Tonino.

«Desidero condividere con voi – ha scritto il prelato – questo momento tanto delicato per la vita del nostro Santuario diocesano di Polsi. Il mio saluto va anzitutto a te, Don Pino, che, dopo quasi venti anni di servizio ininterrotto, mi hai chiesto di essere dispensato da un così gravoso impegno pastorale al Santuario, in modo da seguire con più attenzione i tuoi problemi personali. Lasci l’incarico dopo aver speso per esso tante energie e tempo. Hai custodito il Santuario, proteggendolo dai tanti pericoli che “l’aspro monte” nasconde in sé, valorizzandone l’indole accogliente e sapendo ovviare alle difficoltà dovute alle vie di accesso sempre precarie e soggette alle intemperie della stagione invernale. Il Signore ricompensi te ed i tuoi collaboratori per il sevizio svolto. Ora il testimone passa a Don Tonino. A te, Don Tonino, viene consegnata un’eredità di fede, tradizione, arte, storia e cultura, che sarai chiamato a conoscere, amare e servire. Polsi è nel cuore dell’Aspromonte e della Calabria. Grembo di una Madre che nel corso dei secoli ha accolto e rigenerato tanti suoi figli, ma che ha anche sofferto per le profanazioni subite a causa di fatti e misfatti, di complicità e sangue versato da gente senza scrupoli, in nome spesso di una religiosità deviata e non vera».

«Polsi come grembo di madre – ha concluso Mons. Oliva – è chiamata a generare alla vita cristiana ed a convertire i peccatori al Vangelo. Un Vangelo che rifiuta il compromesso col potere del denaro e delle armi, della violenza e dell’arroganza mafiosa. Essere luogo di spiritualità e di fede: è questa la sfida su cui si gioca il futuro del nostro Santuario. Dovrai esserne fedele e coraggioso interprete».


2019
Il santuario della Madonna della Montagna di Polsi

Sulla questione del santuario della Madonna della Montagna di Polsi è ritornato il 2 settembre 2019 il Vescovo di Locri-Gerace, Mons. Francesco Oliva: «Per me è ingeneroso continuare a collegare questo luogo di culto alla ‘ndrangheta, azzerando quanto da anni si sta facendo per recuperare la sua vera identità. Polsi è semplicemente un santuario, non è la chiesa della ‘Ndrangheta».

L’ha detto nella sua omelia in occasione della festa della Madonna della Montagna celebrata i nel santuario di Polsi. Parole che riferivano indirettamente a quanto giorni prima al Senato dal Presidente della Commissione antimafia Nicola Morra, che ha definito quello di Polsi “il santuario cui la ‘Ndrangheta ha deciso di consegnarsi”, dopo che varie inchieste hanno dimostrato come in passato, a Polsi, si svolgessero summit di ‘Ndrangheta.

Nella sua omelia Mons. Oliva ha affermato: «È un santuario da amare, da custodire, da tutelare da ogni interesse ed interferenza esterna. È un luogo sacro che vuole offrire ai tanti pellegrini che lo visitano momenti di silenzio, di preghiera. Un luogo dove è possibile riscoprire il rispetto per la natura, il valore della riconciliazione con Dio e con i fratelli. La società civile ha tutto l’interesse che sia questo e che ci si adoperi sempre più nell’affermare e tutelare questa identità. Le nostre comunità, l’intera società ha bisogno di luoghi, ove poter riscoprire i valori alti della pace, della solidarietà e del perdono. Essi sono polmoni di spiritualità, di cui tutti e l’intera società abbiamo bisogno. Quanto vorrei che Polsi divenisse simbolo del riscatto morale della nostra gente, che non accetta più di restare al di fuori delle agende politiche. È nelle attese di tutti poter arrivare al santuario di Polsi da ogni dove, sani e malati, giovani ed anziani. Si deve poter venire qui senza rischiare la vita. Una nuova strada, più sicura e percorribile, è il simbolo del riscatto di Polsi. A riguardo possiamo dire, come annunciato lo scorso anno, che siamo sulla buona strada. C’è un finanziamento, c’è una volontà politica. Ma occorre passare dalle parole ai fatti. Vigiliamo perché non accada, come talvolta è accaduto, che i finanziamenti stanziati, vadano distratti, sperperati, mal spesi, senza giungere alla conclusione dell’opera. Presteremo la massima attenzione. La realizzazione dell’opera nei tempi giusti significherà la vittoria della buona amministrazione sulle forze disgregatrici, criminali e mafiose».

«Perdona, Signore – ha concluso il Vescovo di Locri-Gerace – quanti hanno profanato questo santuario, rinsaldando vincoli di complicità criminali. Perdona quanti non sono venuti qui per pregare. Perdona quanti hanno strumentalizzato questo luogo sacro, quanti si sono serviti dell’immagine di Maria senza amarla veramente».

2021
La dimissione da parroco della parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca

Poi, a seguito della condanna subita in primo grado nel processo “Gotha” a 9 anni e 4 mesi di reclusione, con sentenza emessa il 30 luglio 2021 dal Tribunale di Reggio Calabria, il parroco della parrocchia Santa Maria della Pietà di San Luca, Don Pino Strangio, aveva presentato a Monsignor Francesco Oliva, Vescovo di Locri-Gerace, le proprie dimissioni da tutti gli incarichi pastorali, «con la tranquillità di non aver mai commesso alcunché che abbia potuto direttamente o indirettamente favorire quelle associazioni criminose che ho sempre avversato personalmente e nella mia opera pastorale, sforzandomi di creare tra i giovani una cultura all’insegna del rispetto, dell’amore e della legalità».

Secondo il Comunicato stampa della Diocesi di Locri-Gerace del 6 agosto 2021, Mons. Oliva, «comprendendone le ragioni», ha accettato le dimissioni e nella lettera con la quale gli ha comunicato la decisione, ha spiegato di aver apprezzato «la nobiltà del gesto compiuto, riconoscendone il servizio pastorale portato avanti per anni». «Sono certo che non ti perderai d’animo e, continuando a sentirti “servo inutile” (Lc 17, 5-10), ti lascerai guidare dal Signore e non rifiuterai quello che Egli ti chiederà», ha scritto monsignor Oliva.

La lettera di dimissioni da parroco di Don Pino Strangio al Vescovo di Locri-Gerace, Monsignor Francesco Oliva

Eccellenza Reverendissima, avendo riflettuto e pregato, subito dopo il nostro incontro, in occasione della condanna inflittami in primo grado nel processo “Gotha”, emessa il 30 luglio corrente anno dal tribunale di Reggio Calabria, con la ferma coscienza di avere sempre svolto il mio ministero sacerdotale, nell’assoluto rispetto del prossimo e con la dedizione che al prossimo ogni sacerdote deve; con la tranquillità di non aver mai commesso alcunché che abbia potuto direttamente o indirettamente favorire quelle associazioni criminose che ho sempre avversato personalmente e nella mia opera pastorale, sforzandomi di creare tra i giovani una cultura all’insegna del rispetto, dell’amore e della legalità; sicuro che al termine dell’inaspettata vicenda giudiziaria, sarà riconosciuto, con la mia innocenza, il valore di quanto da me compiuto in oltre quarant’anni di sacerdozio e di attività pastorale, rassegno le dimissioni da ogni forma di attività pastorale a Vostra Eccellenza, in attesa che tutto si compia e tutto si chiarisca confidando nel Signore.
Nel ribadire la mia obbedienza a Lei, Eccellenza, la saluto chiedendo la Sua preghiera.
Don Giuseppe Strangio

Diocesi di Locri-Gerace
Comunicato Stampa
Locri, 6 agosto 2021

In seguito alla condanna subita nel primo grado di giudizio, con la sentenza emessa il 30 luglio scorso dal Tribunale di Reggio Calabria nel processo “Gotha”, Don Pino Strangio ha presentato nelle mani del Vescovo di Locri-Gerace le proprie dimissioni da tutti gli incarichi pastorali. Il vescovo, comprendendone le ragioni, le ha accettate, rendendosi altresì conto delle difficoltà del sacerdote che in questo momento è chiamato a sostenere un delicato percorso giudiziario.
Nella lettera con la quale ne ha accettato le dimissioni, Monsignor Oliva ha apprezzato la nobiltà del gesto compiuto, riconoscendone il servizio pastorale portato avanti per anni. Ha avuto nei suoi confronti parole d’incoraggiamento e di sostegno morale: “Sono certo che non ti perderai d’animo e, continuando a sentirti “servo inutile” (Lc 17, 5-10), ti lascerai guidare dal Signore e non rifiuterai quello che Egli ti chiederà” [QUI].

Continua nella Seconda Parte [QUI]

Edited by pincopallino1 - 12/2/2024, 20:25
 
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Gotha, don Pino Strangio: il prete «paciere tra le cosche» che sussurrava ai potenti
Il sacerdote, ex rettore del santuario di Polsi, è il protagonista della quinta puntata del podcast dedicato al “processo agli invisibili”. Dalla sua presunta appartenenza a logge massoniche coperte fino ai rapporti con Paolo Romeo e Antonio Marra

di Consolato Minniti 12 febbraio 2024 11:47

Un «paciere nei contrasti» tra le cosche. È questo il ruolo che il Tribunale di Reggio Calabria ritiene sia corretto attribuire a don Pino Strangio, protagonista della quinta puntata del podcast “Gotha”. Una posizione strategica, a giudizio dei giudici, «atteso che la composizione di tali contrasti e la interruzione delle faide consolida l’esistenza dell’associazione confermandone la sua funzionalità e la capacità di autogovernare le pulsioni criminali attraverso regole, doti ed organismi concepiti per la sopravvivenza ed il rafforzamento dell’ente criminale». Il sacerdote è stato condannato in primo grado a 9 anni e 4 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

La storia di don Pino Strangio trova un suo primo episodio pubblico nell’agosto di quarant’anni fa, a Montecatini in provincia di Pistoia. Le forze dell’ordine stanno effettuando una perquisizione nei confronti, tra gli altri, di un tale Giuseppe Strangio. A loro quel nome nulla dice. Ma in Calabria non è un illustre sconosciuto. Si tratta di un sacerdote, ordinato nel 1981. Addosso all’uomo, viene rivenuta una banconota da 100mila lire che risulta corrispondere a quella utilizzata per il pagamento di un riscatto necessario a liberare una persona tenuta sotto sequestro. Passano poche ore e, dall’altra parte dell’Italia, i carabinieri di San Luca decidono di eseguire una nuova perquisizione, questa volta nell’abitazione del padre di Strangio. Lì trovano un’altra banconota da 100mila lire, proveniente dal riscatto pagato per la liberazione di Carlo De Feo di Napoli. La famiglia di don Strangio – va rimarcato – non ha alcun collegamento con quelle più note e appartenenti alla ‘Ndrangheta di San Luca.

Don Pino, per tantissimo tempo, è rettore del santuario della Madonna di Polsi, luogo di fede che, tuttavia, i vertici della ‘Ndrangheta per anni trasformano in centro nevralgico dei summit che riuniscono le famiglie più importanti.

Sono diversi gli episodi che vedono protagonista don Strangio e che sono ricordati all’interno del podcast: dalla squalifica per il lutto al braccio nella gara calcistica del San Luca – di cui era presidente – in occasione della morte del boss Antonio Pelle, fino all’apprezzamento che il sacerdote avrebbe espresso agli appartenenti alla cosca Gioffré di Seminara, definendoli «uomini di pace» mentre a San Luca impazzava la faida e i Gioffrè tentavano di farla cessare. Così come la trattativa presunta per la cattura di latitanti in cambio di favori per altri detenuti, con relazioni dirette con appartenenti alle forze dell’ordine.

Vi sono poi anche i collegamenti con il mondo della politica e, in particolare, con Paolo Romeo e Antonio Marra. Legati, a giudizio della procura, da rapporti massonici non regolari certificati da elementi probatori raccolti nel corso di diversi anni. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, don Strangio avrebbe raccolto l’eredità di don Stilo, anche quanto all’appartenenza ad una loggia massonica coperta.

Di tutto questo si parlerà nella quinta puntata del podcast in compagnia del giornalista di LaCNews24, Pietro Comito, nonché attraverso la voce del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Stefano Musolino, che ha delineato tutte queste relazioni nel corso della sua requisitoria.
 
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