Laici Libertari Anticlericali Forum

Quando un prete o un religioso si suicida, Neanche la promessa del paradiso guarisce il mal di vivere

« Older   Newer »
  Share  
GalileoGalilei
view post Posted on 27/11/2008, 14:26 by: GalileoGalilei
Avatar

Group:
Administrator
Posts:
21,949

Status:


http://www.glesiefurlane.org/acjadiments.p...&anno=2006&id=7

LETARE A DON BERTOLDI,CHE SI È COPÂT ÎR AI 27 DI MARÇ DAL 2006
Don Corrado,

non è mio costume nè mia competenza esprimere giudizi sulle attività espressive del prossimo. Ritengo che ognuno abbia diritto di esprimere le proprie idee in assoluta libertà. Il lettore ha la possibilità di accettarle, rigettarle, confrontarsi con esse per trarne giovamento o liberarsene al più presto per evitare ogni forma di nocumento. Ritengo altresì condizione pregiudiziale di ogni opera la chiarezza del pensiero e la correttezza della forma. Tutte qualità che ho riscontrato nel Suo libro: “Verità eretiche di un prete”. Quindi lo ritengo un libro positivo. Se non altro per il coraggio, al limite dell’incoscienza o dell’impudenza, di esprimere con tanta crudezza dei giudizi pesanti, ed inusuali anche nel mondo dei cosiddetti “lontani”, su “Dio, Bibbia, Chiesa, Storia”. Le fa onore anche un’altra circostanza. Di solito certi libri di contestazione radicale vengono pubblicati con pseudonimi o ricorrendo all’anonimato. Lei, in sintonia con il Suo temperamento che non rifugge dal confronto e dallo scontro, ha voluto firmarsi, ben sapendo che tale gesto non Le avrebbe aumentato il numero degli osannanti, ma avrebbe ulteriormente ridotto il numero dei simpatizzanti. Ma questa non sembra la Sua preoccupazione primaria.

Ho letto il libro in poco tempo, concentrandomi con più attenzione su certe parti e scorrendo con più celerità altre, soprattutto quando, come nel caso della Bibbia e della storia della Chiesa, l’impianto accusatorio e demolitorio era ben chiaro. Non escludo la possibilità di rileggerlo con più calma, anche per poter afferrare meglio il Suo pensiero. Trattandosi di un’opera composita, nel senso di essere formata da più sezioni abbastanza diversificate nel contenuto e nel tempo, e di un susseguirsi continuo di osservazioni e precisazioni all’interno delle singole sezioni, non è facile e non credo nemmeno possibile darne un giudizio globale. Bisognerebbe avere la Sua preparazione culturale, la Sua documentazione bibliografica e la Sua esperienza personale diretta e protratta per una lunga e travagliata esistenza. Inoltre bisognerebbe rispondere argomento per argomento, inciso per inciso, riga per riga. Un’impresa insensata ed inutile. Mi accontenterò di farLe presenti, per iscritto come da Lei richiesto, alcune considerazioni, osservazioni, confidenze che mi suscita la lettura del Suo libro, senza nessun intento accusatorio od assolutorio e senza nessuna pretesa di completezza, ma come un fratello o, se preferisce anche per ragioni anagrafiche (mia mamma era dal 1912), come un figlio al proprio padre. In carità e libertà.

La parte “teologica”, che occupa uno spazio notevole nel libro e che avrebbe dovuto interessarmi maggiormente per ragioni professionali o di bottega, mi ha incuriosito parecchio per l’arditezza ed inusualità delle tesi ivi esposte con dovizia di particolari e con una lista infinita di citazioni una più dotta e puntuale dell’altra, ma non mi ha emozionato. Non mi sento di darLe torto nè ho argomentazioni per ribattere punto su punto. E’ tutta l’impostazione che mi ha lasciato perplesso. Lei parte dal principio che Dio è mistero e tutto quello che diciamo con i nostri poveri ragionamenti, con i pronunciamenti magisteriali e con la stessa Bibbia è assurdo, insostenibile, illogico, sballato. E fin qui posso anche convenire. Ma noto in Lei un accanimento razionalistico martellante per dimostrare la Sua tesi e mi accorgo che, alla fine della Sua demolizione, ci troviamo felici e contenti su un mucchio di rovine. Può darsi che per Lei, usato o condannato a sfide insostenibili da superuomo, tutto questo Le dia un brivido di esaltazione, come chi finalmente ha trovato la chiave del mistero. A me tutto questo fa paura e pietà, perchè la chiave non apre nessuna porta, essendo caduta non solo la porta ma anche la parete e la casa. Scorrendo le Sue implacabili argomentazioni mi prende un senso di freddo, come quando tramonta il sole o la vita esce da un corpo goccia a goccia.

Non è questo il Dio che m’interessa, davanti al quale presentarmi in tutta la mia nudità e chiedergli umilmente di essere coperto e riscaldato dalla sua misericordia. Il Dio dei filosofi, dei nichilisti, degli intellettuali, dei libri, non m’interessa affatto. Non lo cerco e non lo voglio. Perchè è morto. Perchè è un idolo partorito dalla mia intelligenza o logica, all’altezza della mia comprensione e dunque non più grande di me.

Dal momento che ognuno è inesorabilmente autobiografico, la mia vicenda umana è stata ed è totalmente diversa dalla Sua e non solo per questioni di date. Lei è un uomo forte, che non teme assolutamente alcuna sfida, sia essa una prigionia lunghissima e dolorosa in territorio russo, sia una battaglia ideologica contro gran parte della Sua comunità infetta da preconcetti o illusioni di matrice sinistroide, per Lei ovviamente “l’eresia di tutte le eresie”, come avrebbe detto del modernismo l’ignorante ed intollerante Pio X, autore o connivente di un gulag teologico che ha paralizzato gran parte del secolo appena trascorso. Anch’io mi sono trovato, senza volerlo, a lottare contro lo strapotere e l’incomprensione vescovile, come Lei. La differenza è che io sudavo freddo ad ogni lettera o telefonata che mi arrivava dalla curia e passavo notti insonni e giorni di agonia, perchè mi sentivo impari alla lotta. Dalle Sue lettere questa paura non traspare. Può darsi che la mia impressione sia errata, ma mi sembra quasi di scorgervi un senso di vittoria, di soddisfazione, anche se amara. Oppure le prove immani cui la vita L’ha assoggettato hanno avuto su di Lei l’effetto che il gelo invernale (o infernale) ha sugli alberi. Per resistere devono perdere ogni fiore e foglia e tenero germoglio e dotarsi di una scorza impenetrabile. In questo caso, il lettore è preso da un senso di sincera ammirazione, ma che raramente si trasforma in affettuosa partecipazione, in calore umano. Essere ammirati può essere stimolante; essere amati è più consolante. Sono un romantico inguaribile, un modernista incorreggibile. All’albero maestoso che sfida i flagelli del vento preferisco l’umile viola che cerca di rannicchiarsi ancor di più, per sopravvivere. Al Dio glaciale e matematico o metafisico degli studiosi e dei dubbiosi e dei fanatici dell’assoluto, preferisco il Dio un po’ kitsch, banalotto, rassicurante, insostenibile, illogico della povera gente. Lei, per parlarmi di Dio, mi porta una valigia di libri e di citazioni e di prove o controprove. Io preferisco andare a cercarlo nelle contraddizioni, nella semplicità, nell’umanità dei miei fedeli così infedeli ed impresentabili. Se devo farmi un’idea di Dio (di più non è permesso nè lecito), non vado in biblioteca, ma mi rivolgo con umile confidenza alla vecchietta che confonde la Trinità con chissà quale astruseria ma che riesce ad affrontare con serenità la fatica del vivere. Dio non lo si dimostra, ma semplicemente si mostra.

Tra le note della Sua interessante e per certi versi unica esperienza, vedo che Lei ha conosciuto persone di altissima levatura almeno gerarchica e frequentato un’infinità di luoghi. Mi riferisco al futuro Paolo VI, al card. Donato Sbarretti, a Tardini, a Casaroli, al chiacchierato Baggio, notoriamente ultraconservatore e nemico implacabile (naturalmente in buona fede. Quanta buona fede e quanta poca fede!) della teologia della liberazione e persecutore di un martire del calibro di mons. Romero . Ha frequentato la Roma dell’algido Pacelli segretario di Stato e di Pio XI, il papa dei concordati più disastrosi del secolo. Ha conosciuto, purtroppo, la Russia con tutte le atrocità staliniane e con le sofferenze di quel popolo grande e sfortunato, la povertà e corruzione di Cuba, gli intrecci ed intrallazzi politico-caritativi della Pontificia Opera di Assistenza, la cura pastorale, l’insegnamento scolastico, gli splendori della Parigi vacanziera, il mondo piccolo borghese e piccolo cattolico del Veneto.

Benchè vissuto in tempi di maggior mobilità e possibilità economiche, il mio curriculum è vergognosamente ridotto e provinciale e si esaurisce all’interno della mia diocesi, in minuscole comunità ai margini di una regione già marginale. Ho trascorso 14 anni in Carnia, a mille metri di altezza, e gli ultimi 21 a Basagliapenta, un paese che le automobili attraversano accelerando. Ho fatto solo due puntate esterne o estere. Una settimana in Palestina, nel 1995, e l’anno seguente, un salto a Santiago de Compostela. A Roma non ho mai messo piede e non conosco alcuna personalità. Un‘esistenza banale ed insignificante che mi ha permesso una discreta navigazione o, se preferisce, un decente cabotaggio, compatibilmente con la mia salute precaria e le mie paure ricorrenti ed incombenti. Eppure mi sento sereno e realizzato perchè ho potuto attendere ad una comunità, aiutare della povera gente a vivere e a sperare ed essere aiutato da loro. Ho avuto la fortuna di poter leggere e scrivere, ma anche qui tutto a livello artigianale, paesano, in una lingua che pochi parlano ed ancora meno leggono, ma che mi ha permesso di dire cose grandi e profonde. Con simili trascorsi, non sono ammirato nè invidiato da alcuno. In compenso credo, o mi illudo, di godere dell’affetto sincero dei miei parrocchiani e di alcuni amici. Non Le racconto questo per esaltare un’esistenza rispetto all’altra ma solo per farLe capire che, con strade così diverse, non possiamo avere la stessa concezione della vita e nemmeno gli stessi gusti in fatto di religione, pur appartendendo entrambi alla stessa ditta, come direbbe il grande don Milani. Avrà certamente intuito che alla Chiesa dei Pii, dei Merry del Val e degli Ottaviani, condannati a far la parte del drago che custodisce un tesoro sotterraneo, un museo delle cere, un mausoleo o una biblioteca morta di verità morte, preferisco la temerità e l’incoscienza di un papa Giovanni che, ad un’età normalmente collegata all’arteriosclerosi ed alla demenza senile, si permette di scendere in mare e, con mano tremolante, spingere la barca o la baracca apostolica in alto mare, con il rischio reale di venire sommersa ad ogni istante, vuoi per la veemenza dei flutti vuoi per l’inadeguatezza del nocchiero. Ci avrà fatto girare un po’ la testa e sommuovere i visceri, ma almeno abbiamo potuto vedere finalmente qualcosa di nuovo...

Considero una grazia straordinaria, forse la più grande che ho avuto nella mia vita, la possibilità non solo di passare giorni e mesi sulla Bibbia ma di poterla tradurre in friulano. Se, in qualche modo, ho fatto un regalo al mio popolo offrendo una sorgente inesauribile di vita e di sapienza ed una guida luminosa per la verità tutta intera (anche se per Lei tutto questo può sembrare un’autentica castronaggine), il vero regalo è stato fatto a me. Mi è stato aperto questo scrigno accecante di perle e mi è stato permesso di bere a questo fiume che ristora l’anima fin nei suoi angoli più remoti e riarsi.

Naturalmente, anche se non con la Sua preparazione culturale e la Sua notevole erudizione, mi sono reso conto che tante cose non quadravano, che la logica (torniamo a questa stramaledetta categoria) non era la sua peculiarità principale, che c’erano un’infinità di contraddizioni e di incoerenze riguardo alle date, ai racconti, alle successioni cronologiche, alle scoperte archeologiche o alle scienze comparate. E chi se ne frega? O, meglio, non è questo che vado a cercare con ossessione nella Bibbia. Posso farlo più avanti, con libertà e senza il gusto sadico o sadomasochistico di aver fatto finalmente cadere l’impalcatura.

Mi sono accostato alla Bibbia cercando quello che la Bibbia poteva darmi e di cui avevo bisogno: un nutrimento sostanzioso dello spirito, un orientamento nella notte dell’esistenza personale e collettiva degli uomini, un barlume di quella luce inaccessibile che chiamiamo Dio. Mi sono accostato al Libro santo con l’avidità e la voracità del bambino che si attacca al seno della madre e ne succhia ingordamemente il latte fino a quando gli cola dalle labbra fin sul mento impataccandosi senza pudore. Passût e imbeverât. Certo che se quel marmocchio insolente e saccente, prima di accostarsi alle floride mammelle della sua nutrice, avesse preteso tutti gli esami batteriologici e chimici e profilattici del latte e della madre, per vedere se il latte era giusto, se conteneva tutte le sostanze necessarie e nella giusta dose, se lei era di sana e robusta costituzione e non c’era alcuna malattia incubante, beh! quel disgraziato sarebbe morto di fame. O comunque non avrebbe meritato un dono così vitale e gratuito.

Lei si accosta alla Bibbia per nutrirsi o per fare analisi? Vuol crescere in sapienza ed in umiltà ed in umanità o vuol semplicemente diventare un ottimo anatomista, anche se scettico? Quando ha scoperto che l’uomo habilis non combina con la storiella di Adamo e che l’esercito imponente del faraone non poteva essere sconfitto da una banda impotente di schiavi fuggiaschi, che beneficio spirituale ne ha tratto? Personalmente invece mi consolo e mi commuovo pensando che la nostra polvere è divina e che Dio si batte sempre per il debole contro il prepotente e per la libertà contro ogni forma di tirannide. Come mi commuove il fatto che Dio sceglie sempre le persone peggiori e più sballate perchè non ci si possa ingannare sul vero artefice della storia della salvezza. Una storia piena di contraddizioni e di ricadute e quindi ancora più affascinante ed imprevedibile, come affascinante, imprevedibile e misterioso è Dio. Un Dio potente e debole, un Dio che potrebbe ridurci in briciole e che si lascia inchiodare, perchè non ci venga la tentazione di usarlo ma solo di accettarlo com’è e di voler diventare come lui, accettando che la strada della vita passi per la morte e che la vittoria conosca prima l’amarezza e la notte della sconfitta.

Trovo poi inspiegabile che un uomo tremendamente lucido come Lei, che mi scarta i Vangeli, a conclusione di questa sua immane e dolorosa fatica di ricerca della verità, opti per le apparizioni di Lourdes, Fatima e addirittura Medjugorie, sulla cui banalità più che sulla autenticità mi risparmio ogni commento e facile ironia.

Sul capitolo relativo alla prigionia non mi permetto alcuna chiosa. Si tratta di un’esperienza troppo personale e sofferta. Così come non ribatto sulle Sue affermazioni relative al comunismo ed alla dottrina marxista-leninista ed alle Sue posizioni dichiaratamente destrorse. Personalmente appartengo ad un’altra parrocchia e non mi lascio incantare da nessun miraggio di grandezza nazionale o di ordine, soprattutto quando questa grandezza passa sull’umiliazione delle persone e l’ordine è soltanto un disordine camuffato. Sono un sentimentale, un romantico, un ingenuo e mi batto sempre per le galline, mai per le aquile, siano esse bicipiti o tricipiti. Ritengo che comunismo e nazismo e fascismo appartengano alla stessa pianta malefica e che siano ugualmente diabolici. Per cui non capisco come il papa abbia potuto stringere la zampa di Mussolini e di Hitler e scomunicare i fanatici del Baffuto. Questo sì che è un mistero!

Non Le nascondo che la parte più gustosa, più provocante, più evangelicamente scandalosa sia quella relativa alla corrispondenza con la curia e segnatamente con il vescovo Cocolin. Sono pagine drammatiche, incoscienti, splendide, coraggiose ed oltraggiose, che si divorano con avidità. Anch’io mi sono trovato in conflitto con i miei gerarchi e qualche volta ho calcato la penna, pentendomi un istante dopo. Non per quello che avevo detto, che ritenevo vero, ma per le conseguenze cui andavo incontro e che mi trovavano impreparato. Perchè io sono fondamentalmente un timido e, se il vescovo lo avesse intuito, mi avrebbe stritolato senza alcuna fatica. Lei invece è forte come una roccia e sembra che le avversità, lungi dal fiaccarLo, Le facciano profitto. La Sua invidiabile lucidità intellettuale e prestanza fisica, ad un’età ben oltre i confini biblici, ne è una conferma evidente.

Detto questo e reso omaggio al Suo ardimento, per me e per la maggior parte dei mortali irraggiungibile, mi permetto di sussurrare che, sotto sotto, un po’ della mia simpatia va anche all’incolto ed ingordo Cocolin, che non ha mai brillato per la sua intelligenza e che ha speso i suoi onesti risparmi pe comprare bottiglie d’annata, scartando decisamente la produzione letteraria a favore di quella vinicola. Dico questo non solo perchè il buon don Rino è stato a trovarmi, con il suo segretario Baldas, nel mio eremo ed esilio carnico, ma perchè, con il suo “cuore ottimo, stomaco di struzzo e palato finissimo”, ha regalato qualche ora di allegria ai suoi commensali che non avevano grandi ambizioni intelellettuali. C’è gente che non ti aiuta molto, ma che ti fa star bene in compagnia. C’è gente che ti aiuta e ti stimola, ma la cui frequentazione è faticosa perchè troppo perfetta e conscia della propria ragionevolezza e rettitudine.

Credo che ci salvi la nostra umanità, non la nostra virtù. Di più, credo che nessuno si salvi ma che tutti siamo salvati da Colui che è l’unico giusto. Che cos’è la nostra giustizia e la nostra ragione? Nessuno è tanto santo da meritare il premio e nessuno è tanto perverso da essere escluso dalla sua misericordia. Lui, che ha saputo rintracciare un coniglio come Giona nel ventre del pesce (altra balla!), saprà trovare anche Cocolin e gli altri suoi rappresentanti infingardi, machiavellici, pusillanimi, fedifraghi, bricconcelli eccetera. In questo mi sento totalmente aquilejese ed alessandrino, abbracciando con Origene la splendida verità o prospettiva della salvezza universale.

Don Corrado, sono giunto alla fine (ma potrei continuare) di questa mia chiacchierata piuttosto confusa e disordinata. Ho precisato che si tratta di impressioni, più che di ragionamenti. Ho l’impressione di una personalità fuori del comune e quindi condannata fin dal principio ad essere elemento di divisione ed oggetto di incomprensione. Lei stesso lo afferna in un passaggio del Suo libro. Credo nella Sua rettitudine e Le dò ragione in tutte le Sue ragioni ed obiezioni. Solo vorrei vederLa più in là o in alto. Meno virtuoso e più umano, comprensivo, conciliante. Non si arriva a 90 anni e con tante peripezie senza capire che tutto è mistero, tutto è relativo, tutto è grazia. La Sua dirittura morale e la coscienza chiara delle Sue qualità intellettuali e della Sua spiccata personalità probabilmente L’hanno trattenuta da quelle debolezze che normalmente infangano e rovinano le nostre prosaiche esistenze. Ma che me ne faccio di una virtù accigliata, di una verginità glaciale, di una santità museale o funeraria? Preferisco mille volte un peccatore simpatico ad un santo antipatico, se mai esiste santità senza gioia e serenità interiore.

La ringrazio per quello che ha scritto, anche se non condivido gran parte del contenuto e soprattutto del metodo. Ha avuto del coraggio, qualità sempre più peregrina. Le auguro un po’ di calore e, per tutti noi, il dono della fede. Non di arrivare a combinare i pezzi sconnessi che Dio ha seminato sulla sua e nostra strada, ma di accettare questa incongruenza ed illogicità. Non di risolvere l’enigma ma di fidarsi lo stesso, di allungare la mano anche a rischio che non ci sia nessuno che la stringa, di intraprendere una strada che forse non porta da nessuna parte. Ma ci permette di muoverci, di andare avanti, di scaldarci, di avvicinarci a Lui e tra di noi.

Di queste mie osservazioni, o farneticazioni, ingenue, imprudenti o forse offensive anche contro la mia volontà, faccia l’uso che ritiene più opportuno. Se Le servono le legga; se sono sbagliate le compatisca; se Le creano fastidio o sofferenza le distrugga. Il fatto che abbia vergato, sia pure in modo scombinato, cinque pagine, vuol dire che la Sua opera e persona non mi è indifferente.

Termino queste righe in questo Mercoledì delle Ceneri. Fra poco andrò in chiesa a ripetere ancora una volta l’invito accorato di Gioele a ritornare a Dio con tutto il cuore. Perchè tutti siamo fuori strada e tutti dobbiamo ritornare o rientrare. Ed i sacerdoti, i ministri di Dio, ancora una volta pregano per la loro comunità e per tutti gli uomini: “Parce, Domine, parce populo tuo”. E’ questo il nostro unico compito: gridare e piangere e chiedere perdono per la nostra povera gente e per la nostra povera Chiesa e per la nostra povera umanità. Voglio sperare che questo sole ormai rafforzato vinca le ultime resistenze dell’inverno e ci regali un po’ di calore ed un anticipo di gioia pasquale. Mandi.

5 marzo 2003

pre Antoni Beline

---------------------------------------

Nella diocesi di Gorizia hanno tentato di farlo passare per ammalato e depresso, senza spiegare niente sulle critiche che don Corrado muoveva alla sua istituzione.

Da notare che il povero don Corrado era stato nel seminario minore, dove rinchiudono i ragazzini dai 10 ai 18 anni per reclutarli al sacerdozio. Probabilmente aveva intrapreso la vita ecclesiastica senza sceglierlo


http://www.gopagio.org/spip.php?article78

Memoria di don Corrado Bertoldi
domenica 2 aprile 2006

Con infinita tristezza segnaliamo il fatto che don Corrado Bertoldi, nostro presbitero diocesano, ha di sua volontà drammaticamente concluso la propria esistenza terrena nella notte del 27 marzo 2006 sul greto del fiume Cellina, sul quale era precipitato dal ponte alle porte di Montereale Valcellina (PN), in cui ultimamente da pensionato risiedeva.

Aveva 93 anni, essendo nato a Tricesimo (UD) il 22.10.1913. Espletati gli studi medi nel Seminario Minore di Udine, chiese di entrare nel Seminario Teologico di Gorizia intendendo mettersi da sacerdote a servizio della nostra Diocesi. Ordinato presbitero il 25.10.1936 per mano dell’allora arcivescovo di Gorizia, Mons. Carlo Margotti, venne inviato a Roma per compiervi gli studi di Diritto Canonico all’Ateneo Lateranense (1936-1939). Conseguita la licenza in Diritto Canonico, rientrò in Diocesi e venne nominato vicario cooperatoreprima a Cervignano (settembre 1939) e poi a Monfalcone (dicembre 1939-1941). Dal marzo 1941 al luglio 1946 fu cappellano militare. Fortemente drammatica fu la sua esperienza di cappellano della “Julia” in Russia, specie della prigionia, che ne era seguita (1942-1946). Rientrato dalla prigionia venne nominato vicario cooperatore a Bruma di Gradisca d’Isonzo (1946-1947). Nel maggio del 1947 passava a Cuba, nella diocesi di Comaguey, dove svolse servizio parrocchiale fino al luglio del 1949. Rientrato in Diocesi fu per un anno segretario dell’Ufficio Amministrativo Diocesano. Nel 1950 divenne parroco di San Lorenzo Isontino. Nel 1953 prese in mano la Presidenza della Pontificia Commissione di Assistenza. Nel 1960 venne incaricato dell’assistenza spirituale alla Casa di Riposo A. Culot di Lucinico. Nel 1964 divenne vicario economo della neo parrocchia di Nostra Signora di Lourdes alla Madonnina a Gorizia. Nel 1968 passò come parroco a Turriaco e nel 1973 venne trasferito, sempre come parroco, a Scodavacca, dove rimase fino all’autunno del 1975, quando entrò in quiescenza, fissando il proprio domicilio prima nel Veronese (Brognoligo, S. Bonifacio)e, negli ultimi anni, a Montereale Valcellina (PN), ospite in un alloggio messogli a disposizione dai Conti Cigolotti.

Anche a uno sguardo superficiale del curriculum, appena evidenziato, non può sfuggire l’impressione di un’esistenza fortemente movimentata quella di Don Bertoldi e con ciò probabile indice di un carattere personale piuttosto insofferente. Chi lo ha conosciuto da vicino, pur lodando la sua franchezza nei rapporti con il prossimo, non poteva non notare una continua agitazione, una certa aria di superiorità nel giudizio del prossimo e di rifiuto di ogni osservazione non gradita. L’esperienza drammatica della prigionia in Russia aveva ancora acuito queste predisposizioni temperamentali. In lui fu un continuo rincorrersi di illusionie di grandi attese mai realizzate o realizzabili. Tutti i cambiamenti tentati o riprovati lo lasciavano inappagato e deluso. L’età avanzata poi,l’emergente depressione psichica e il susseguente isolamento, nonchèl’insorgere di una grave malattia organica lo avevano portato a unavera prostrazione, da cui non intravedeva vie di uscita.

Una luce accesa nella notte, quella di una torcia elettrica, lasciata sul ponte prima di lanciarsi nel vuoto, potrebbe essere stato un segnale diretto prima a se stesso e poi al prossimo di un’invocazioneestrema alla misericordia di Dio e di un invito agli uomini di non giudicarlo. E in questo atteggiamento spirituale di non giudizio e disentita pietà nonché di affidamento di Don Corrado all’infinita misericordia del Signore si è svolta mercoledì 29 marzo nella parrocchiale di Santa Maria Assunta in Montereale Valcellina la liturgia di commiato, presieduta dall’arcivescovo Mons. Dino De Antoni e concelebrata da qualche decina di sacerdoti delle diocesi di Gorizia e di Pordenone, partecipe anche un rilevante numero di fedeli del luogo e delle parrocchie, nelle quali Don Corrado aveva svolto la sua attività pastorale. Per suo desiderio è stato sepolto nel camposanto di Ara di Tricesimo (UD).
 
Web  Top
93 replies since 20/3/2008, 15:00   1650 views
  Share