http://www.associazioneprometeo.org/pilot....ip=1&iv=1&im=23Nella mente dei pedofili
REPORTAGE.
PREMESSA: Si è parlato e si è scritto molto sulle conseguenze che l’abuso sessuale può avere sui bambini.
Molto meno è stato detto, invece, su ciò che si agita nella mente dei pedofili, sulle strategie che essi usano per avvicinare convincere i bambini, sull’opinione che hanno della loro perversione.
Eppure la conoscenza di questi aspetti è indispensabile per cominciare a capire coloro che si autodefiniscono “amanti dei bambini” e, soprattutto, per prevenire i loro approcci.
“L’IDENTIKIT DEL PEDOFILO”
L’immagine popolare del pedofilo è quella di un uomo di una certa età, una sorta di “sporcaccione” generalmente in pensione o disoccupato che, oltre a molestare ogni qualsiasi bambino che gli capiti a tiro, può avere anche altre anomalie del comportamento sessuale, o “parafilia”, come l’esibizionismo, il voyeurismo o altro. Le statistiche più recenti indicano, invece, che l’abitudine a molestare i bambini inizia generalmente attorno ai 15-16 anni, che di solito la vittima è nota al pedofilo e quest’ultimo spesso è un parente, un amico di famiglia o un frequentatore della casa che non presenta apparenti anomalie di comportamento.
L’attrazione erotica che alcuni sentono per i bambini non si traduce necessariamente in atti sessuali completi: il pedofilo può limitarsi a spogliare il bambino e guardarlo, a mostrarsi, a masturbarsi in sua presenza, a toccarlo con delicatezza o ad accarezzarlo, può convincere il bambino a toccarlo a sua volta e così via. C’è anche chi si limita guardare del materiale pornografico, materiale che oggi, navigando in Internet, può essere rintracciato abbastanza facilmente. Va infatti ricordato che, oltre ai pedofili attivi, ci sono anche i pedofili “latenti”, che non giungono a prendere l’iniziativa.
Altri pedofili sentono attrazione per i bambini di una particolare fascia di età, spesso quella in cui loro stessi ebbero per la prima volta delle esperienze erotico-sessuali con un adulto o un ragazzo più grande. Per altri ogni bambino può essere oggetto d’attenzione. C’è chi preferisce i maschi, chi la femmine, chi invece ricerca bambini di entrambi i sessi. Alcuni sono attratti sessualmente soltanto dai bambini (tipo “esclusivo”), altri sono talvolta attratti anche da adulti (tipo “non esclusivo”).
Alcuni praticano la pedofilia soltanto occasionalmente e non ricercano attivamente i bambini.
La maggior parte dei pedofili cerca di non maltrattare i bambini che riesce ad avvicinare, sia per l’attrazione nei loro confronti, sia perché vuole evitare che essi possano lamentarsi, parlare, “fare la spia”. Se scoperti solitamente i pedofili parlano delle loro molestie verso i bambini in termini molto delicati, ricorrendo alle più svariate razionalizzazioni.
Possono proclamare, ad esempio, il valore educativo di abbracci e carezze, oppure giustificarsi sostenendo che, in quell’occasione, il bambino era stato seduttivo, che era stato proprio il piccolo a sollecitare le avance sessuali dell’adulto, che da queste aveva ricavato poi un evidente piacere, ecc.
Alcuni rivendicano apertamente il loro “diritto” di amare i bambini di cui si sentono attratti a volte in maniera insopprimibile. “La nostra battaglia è come quella antiproibizionista. Chiediamo la libertà d’espressione per chi crede sia giusto amare i bambini. La nostra linea culturale, quando non c’è violenza, non c’è prostituzione, non c’è sfruttamento, va rispettata. Mettendoci in carcere fate di noi dei perseguitati”: è quanto ha dichiarato, in una sorta di “manifesto programmatico”, uno dei tre italiani responsabili di un network internazionale di pedofilia via Internet scoperto nel 1998. questa persona ha anche aggiunto:”Quando non c’è violenza, quando il bambino è consenziente, l’attenzione dell’adulto e il rapporto tra i due vanno considerati leciti” (Corriere della Sera, 8/9/98).
Come evidenzia il box della pagina accanto, giustificazioni di vario tipo vengono addotte anche nei confronti della pornografia pedofila. È evidente che, nella dichiarazione di questo “amante dei bambini”,il punto critico sta tutto nel termine “consenziente”. Può essere considerato “consenziente” un bambino che non sa cosa sta per fare, o che cosa gli sta per succedere, e che si trova in una posizione di nette inferiorità -dal punto di vista del potere, della comprensione, dell’esperienza e dell’autonomia emotiva- nei confronti di un adulto che ha un piano e degli obiettivi precisi?
Ci sono anche altri tipi di pedofili, meno “buoni” di quelli a cui fa riferimento il ”manifesto” appena citato. Sono quelli che praticano il cosiddetto “pedosadismo”.
In questo caso l’attrazione per i bambini e i ragazzini è associata a forme più o meno spinte di sadismo. Si tratta quasi sempre di individui privi di senso morale, spesso affetti da disturbi mentali, cresciuti in un clima di degrado ambientale e psicologico, che qualche volta finiscono per uccidere le loro vittime. Sono casi estremi ma, poiché i media tendono a enfatizzarli, si può avere l’impressione che tutti gli approcci pedofili possano finire in tragedia, il che ovviamente non è.
Va anche considerato che spesso l’eliminazione fisica del bambino non è premeditata, ma si verifica come alla reazione alla paura di essere scoperti. Dagli studi emerge, in particolare, che i pedofili violenti, per lo più, sono stati a loro volta vittime di violenza nell’infanzia, soprattutto di tipo omosessuale. Anche i pedofili non violenti hanno avuto frequentemente esperienze sessuali, basate però sulla seduttività e sull’affettuosità.
Le donne pedofile sono più rare degli uomini, spesso isolate o affette da una qualche forma di squilibrio psichico. Come gli uomini anche le donne possono creare notevoli dissesti psicologici. Quando una donna obbliga un bambino, o una bambina, a pratiche erotiche o sessuali, gli effetti possono essere devastanti, soprattutto se si tratta della madre. Per un figlio infatti la madre è una figura di attaccamento principale. Da lei si attende protezione e rispetto più che da qualsiasi altro adulto di sua conoscenza.
I LUOGHI E I MODI
Secondo studi condotti in vari paesi occidentali, nell’85% dei casi l’abusante è un familiare, o un membro della famiglia allargata.
Un tratto tipico dell’abuso sessuale nella famiglia nucleare allargata è il silenzio: si teme che, parlando, il colpevole possa finire nelle mani della giustizia e la famiglia sfasciarsi. Questo è il motivo per cui i dati quantitativi sull’incesto peccano per difetto e i resoconti degli abusanti sono per lo più retrospettivi.
I casi più numerosi delle denunce sono a carico di patrigni e padri (70% dei casi), ma ci sono anche zii, cugini, fratelli, sorelle maggiori e qualche volta la madre. L’età media delle vittime è tra 6-8 e i 12 anni, ma alcuni bambini sono stati abusati in età inferiore. Il padre, o patrigno, autore di incesto (padre “endogamico”) occupa spesso all’interno della famiglia e tende ad ostacolare qualsiasi tentativo degli altri membri (specialmente della vittima) di intraprendere delle relazioni sociali al di fuori delle mura domestiche. Anche la vittima dell’incesto (spesso la figlia, più raramente il figlio) è sovente isolata e alla ricerca di contatto umano. In alcuni casi il rapporto incestuoso può essere sostenuto da alcuni “vantaggi secondari”: l’abusante ricompensa la vittima con regali e privilegi all’interno del nucleo familiare e questa può considerarsi come l’unica persona in grado di tenere unita la famiglia. Poiché nelle famiglie incestuose c’è quasi sempre una diffusa paura di arrivare alla disgregazione familiare (con conseguenti difficoltà economiche per alcuni membri), è stato ipotizzato che l’incesto abbia, a volte, la funzione “secondaria” di tenere unita una famiglia disfunzionale: un uomo che, ad esempio, non ha più rapporti con la moglie potrebbe andarsene da casa se non fosse per la relazione che intrattiene con la figlia. Per parte loro le figlie che sono oggetto di attenzioni particolari sono spesso coinvolte in situazioni di “inversione di ruolo” nei riguardi della madre. Quest’ultima finisce col delegare (implicitamente) alla figlia il ruolo di “donna di casa” e, più o meno inconsciamente, la incoraggia ad assumere anche gli aspetti sessuali. Il rapporto della figlia con la madre è in questi casi, ovviamente, molto conflittuale.
I genitori possono sembrare delle personalità ben adattate. Tuttavia, un esame più accurato della loro storia passata rivela spesso la presenza di un abbandono precoce da parte dei loro stessi genitori. Molti padri o patrigni incestuosi hanno subito deprivazioni affettive nell’infanzia. Analogamente, le madri sono spesso donne dipendenti o bisognose d’affetto, le cui mamme sono state spesso assenti od ostili. Qualche volta ai test psicologici entrambi i genitori possono mostrare segni di paranoia, squilibri, grosse inibizioni sessuali.
La personalità dei pedofili è polimorfa. C’è infatti chi ritiene che “la tendenza ad avere un contatto sessuale con i bambini può essere considerata secondo un continuum che va dall’individuo per il quale il bambino rappresenta l’oggetto sessuale scelto (pedofilia) a quello (l’altro estremo) per il quale la scelta di un oggetto sessuale immaturo è essenzialmente una questione di opportunità o coincidenza” (Ajuriaguerra, 1979).
Nel secondo caso si potrebbe parlare di soggetti “adattabili”, o “superficiali”, individui che non si pongono tanti problemi e prendono ciò che capita e che viene loro offerto. Ciò aiuterebbe, tra l’altro, a spiegare il fenomeno del turismo sessuale, praticato non solo da pedofili ma anche da persone che intrattengono normalmente rapporti con partner adulti.
Anche le tecniche per adescare i bambini sono di vario tipo. Naturalmente, quelle degli estranei sono più raffinate di quelle dei familiari. C’è chi in spiaggia corteggia la mamma per poi arrivare alla figlioletta, chi addirittura sposa una donna divorziata per avere poi accesso ai figli, chi cerca di diventare amico di famiglia per ottenere la fiducia dei genitori, chi avvicina bambini con carenze affettive o trascurati e via dicendo. Un pedofilo pentito ha rivelato il suo metodo “infallibile”: “Sono un radio amatore, era sufficiente che mi mettessi con la veranda con la mia radio per avere attorno un nugolo di maschietti dagli 8 ai 12 anni” (Howitt, 1998). Il che non significa che tutti i pedofili pianifichino le loro azioni nel dettaglio: alcuni agiscono senza premeditazione, lasciandosi condurre dagli eventi e sfruttando ogni occasione.
Un’inchiesta condotta da Conte et al. (1989), dell’università di Chicago, su venti pedofili in terapia mostra come generalmente gli “amanti dei bambini” siano ben consapevoli di ciò che fanno. È quello che emerse dalle risposte dei 20 pedofili pentiti (maschi tra i 20 e i 60 anni) osservati nel corso di quella ricerca dettero ai loro terapeuti. Qui di seguito ne sintetizziamo alcune.
“LE CONFESSIONI DEI PEDOFILI”
Alla domanda: “Quante sono state le sue vittime?”, le risposte variano da un minimo di 1 ad un massimo di 40, con una media di 7.3 . 18 mesi era la vittima più giovane. In molti casi la vittima era imparentata con il pedofilo. Alla domanda: “c’era qualcosa nell’aspetto del bambino che ti attraeva?” alcuni indicavano soprattutto i tratti fisici (pelle liscia e morbida, corpo snello, capelli lunghi, volto grazioso, aspetto femminile) altri atteggiamenti e tratti del carattere:”vivace, socievole e affezionato. Sentivo che era il soggetto ideale perché aperto e fiducioso”. “Mi attraeva molto lo sguardo che era pieno di fiducia. Quando sono sospettoso non ti guardano in faccia”, “Aveva un aspetto vulnerabile. Era insicuro. Si fidava di tutti”.
“se erano in parecchi con un aspetto simile”, veniva poi chiesto ai soggetti “cosa ti spingeva a sceglierne uno piuttosto che un altro?”. Molti dissero di orientarsi verso i più deboli, quelli più bisognosi di protezione e più facilmente circuibili. Ecco alcune delle risposte: “Sceglievo il più giovane o quello che, secondo me, non avrebbe parlato”, “Quello che cercava protezione. Quello che i fratelli e sorelle si trascinano dietro come un peso. Quello a cui piaceva essere tenuto sulle ginocchia, a cui piacevano le mie carezze, che si lasciava toccare senza fare proteste e senza rivoltarsi contro”. Ancora: “Capisco quando il bambino ripone fiducia in me: lo vedo da come si muove, da come mi si rivolge e mi chiede le cose”, “Si capisce se un bambino ha già avuto di queste esperienze, perché è più tranquillo e remissivo quando si usano certe parole, si fanno delle allusioni o si prendono delle iniziative”, “Sceglievo gli isolati, quelli senza amici o trascurati e maltrattati, perché questi bambini sono alla ricerca di qualcuno che si prenda cura di loro”.
Alla domanda: “Dopo aver individuato una vittima potenziale, pensavi alla possibilità di essere scoperto?”, la maggior parte rispondeva affermativamente, spiegando come la paura determinasse il modo in cui avvicinavano i bambini: “Si, avevo paura di essere scoperto, perciò aspettavo il tempo e i luoghi giusti. È il motivo per cui mi rivolgevo ai bambini di non più di 7 anni. Alcuni ne avevano 3 e non penso che capissero cosa stessi facendo. Cercavo bambini che non fossero in grado di riferire”, “Avevo paura per tutto il tempo che li tenevo con me”, “Mi assolvevo pensando che non li stavo molestando, ma che soddisfacevo una mia curiosità”.
Alla domanda: “Dopo aver identificato la vittima, cosa facevi per convincerla a restare con te?”, alcuni parlavano di regali, altri delineavano strategie diverse: “Parlavamo, giocavamo insieme fino all’ora di andare a letto. Sedevo sul letto n slip e valutavo le sue reazioni”, “Le facevo il solletico, ridevamo, la toccavo. Con i bambini il contatto fisico è più importante della seduzione verbale”, “Cercavo di essere simpatico: gli proponevo dei giochi, gli mostravo attenzione, gli facevo i complimenti”, “Mi comportavo in modo tale che si sentisse sicuro con me”, “Lo attiravo con qualche scusa: un giocatolo, una cosa buffa o altro”, “Lo staccavo dagli altri”.
LA PATOLOGIA
La maggior parte delle persone non pensa ai bambini come a dei possibili partner o “oggetti sessuali”. Perché per alcuni non è così? Si tratta di una malattia o di un impulso naturale? Secondo moli psicologi e psichiatri i pedofili hanno una personalità immatura, problemi di relazione, o sensi di inferiorità, che non consentono loro un rapporto con un adulto “alla pari”: si focalizzano sui bambini perché possono controllarli e dominarli. Con loro non provano sentimenti di inadeguatezza. L’immaturità emerge anche dall’incapacità di questi individui di assumere un ruolo responsabile. È vero che un bambino può, di tanto in tanto, assumere degli atteggiamenti provocanti o seduttivi, ma chi si lascia attivare sessualmente da tali atteggiamenti disinibiti e per lo più inconsapevoli è una persona che non sa tener conto del contesto. Questi stessi atteggiamenti e movenze suscitano, in una persona responsabile, un sentimento di tenerezza o di divertimento, non una reazione di tipo sessuale.
Secondo la psicoanalisi classica, i pedofili abituali sarebbero preda di un disturbo narcisistico della personalità. Nei bambini essi rivedrebbero se stessi nel periodo della propria infanzia, idealizzerebbero il corpo e la bellezza infantile, o preadolescenziale, e rievocherebbero lo stesso trattamento, o il suo opposto subito in passato. Sarebbero dunque al centro di un circuito che si autoalimenta e che li porta compulsivamente indietro nel tempo, al momento in cui essi stessi hanno vissuto quel tipo di esperienza, hanno provato eccitazione-paura e anche il turbamento di essere depositari di un segreto incomunicabile, una sorta di doppia vita.
I pedofili sarebbero insomma rimasti “fissati” a quelle emozioni intense e a quegli schemi estetico-erotici che ora cercano di esplorare e rivivere, senza riuscire ad evolvere verso forme diverse di erotismo, incuranti della differenza tra generazioni e negando l’esistenza di ruoli e funzioni adulte. A ciò si aggiunge, nei pedofili abituali, il piacere della trasgressione e, oggi, anche quello di trovare propri simili su Internet. Qui, oltre a scambiarsi materiale e informazioni, possono rivendicare un’identità in contrapposizione a tutti coloro che disapprovano i loro comportamenti o combattono la pedofilia.
Infine, in casi in cui il disturbo narcisistico della personalità sia associato a gravi tratti asociali, le determinanti inconsce del comportamento sessuale possono pericolosamente connettersi alle dinamiche del sadismo. La conquista sessuale del bambino, in questo caso, rappresenta uno strumento di vendetta per gli abusi subiti, una sorta di puntello alla scarsa stima di sé. Un senso di trionfo e di potere può accompagnare la trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente: il bambino è così visto come un oggetto che può essere facilmente dominato e terrorizzato, che non provoca frustrazione e non si vendica.
Alcuni autori (Ward et al., 1995) hanno anche elaborato un modello teorico che mette in relazione i problemi di intimità dei pedofili con i diversi tipi di attaccamento. Essi hanno individuato tre diversi tipi di molestatori:
1) Gli “ansiosi-resistenti”, che hanno scarsa autostima, si considerano indegni d’amore e ricercano costantemente l’approvazione degli altri. In presenza di un partner che può essere controllato (come un bambino in stato di bisogno o di carenza) essi si sentono sicuri, mentre sono incapaci di stabilire relazioni emozionali con persone adulte. Talvolta possono diventare dipendenti emotivamente dal rapporto con i bambini, con la conseguenza che i confini tra adulto e bambino si perdono e la relazione affettiva si trasforma in sessuale. Curano e corteggiano i bambini e raramente usano mezzi coercitivi.
2) Gli “evitanti-timorosi”, che presentano un forte desiderio di contatto insieme alla paura del rifiuto, tanto da evitare relazioni intime con adulti percepiti come rifiutanti. Le modalità con cui il soggetto mette in atto l’abuso sono caratterizzati da scarsa empatia e uso della forza.
3) Gli “evitanti-svalutativi”, che hanno come meta il conseguimento dell’autonomia e dell’indipendenza, per cui sono alla ricerca di relazioni con il minimo contatto sociale possibile e il minor grado di apertura emozionale e personale. Al pari degli evitanti-timorosi cercano rapporti impersonali, caratterizzati però da un maggior grado di ostilità e aggressività che può condurre a comportamenti coercitivi violenti o sadici.
L’ASIMMETRIA E L’EQUIVOCO
Sono pochi i pedofili che accettano di farsi curare e molti non si considerano malati. Alcuni, come abbiamo già detto, rivendicano pubblicamente la liceità dei loro approcci, sostenendo che c’è abuso soltanto quando c’è costrizione violenta. Costoro affermano che anche un bambino piccolo è in grado è in grado di scegliere e di dimostrare il suo rifiuto, se non gradisce certi contatti. Sul sito Danish paedophile association si possono trovare sintetizzate le risposte che i pedofili “buoni” danno ai quesiti principali: “la pedofilia non è una malattia e non deve essere curata; la pedofilia è sempre esistita; le cause della pedofilia non devono essere ricercate in ipotetiche violenze subite nel passato; i pedofili sia uomini che donne, nel 75% dei casi preferiscono soggetti del proprio sesso; non è nocivo un rapporto con un bambino consenziente, bensì il clamore suscitato se viene scoperto; la sessualità non è cattiva, in qualunque forma si manifesti, ma un aspetto gradevole dell’esistenza; i bambini hanno una loro naturale seduttività, perché reprimerla?”.
I pedofili che usano seduzione e blandizie e condannano le violenze hanno fondato associazioni per difendere il “diritto di libertà sessuale del bambino”, a parer loro oppresso da una società sessuofobia. Secondo quest’ottica i veri danni ai bambini sarebbero provocati da: a) dal fatto di dover mantenere segreti i “giochi” che fanno con gli adulti (segreto che di per se creerebbe sensi di colpa); b) dalle trafile giudiziarie (interrogatori e confronti) che fanno seguito alle denuncie; c) dal comportamento dei genitori: se questi non comunicassero al figlio il timore di poter essere vittima di violenza, sostengono i pedofili, il bambino non si sottrarrebbe alle attenzioni sessuali degli adulti, non ne proverebbe vergogna e, alla fine, non verrebbe neppure ucciso.
Uno degli obbiettivi dei pedofili organizzati è proprio quello di indebolire l’influenza che i genitori hanno sui figli. A questo proposito l’associazione di pedofili The Slurp ha stilato una lettera, idealmente rivolta a tutti i bambini, allo scopo di vincere le loro resistenze. Ne riportiamo0 alcune parti, per dare l’idea della dimensione psicologica in cui si muovono i pedofili:
“Puoi dire no, ma puoi dire anche si. Probabilmente qualcuno ti ha detto che “puoi dire di no”. Forse ti avranno spiegato che cosa significa: se qualche adulto ti chiede di fare delle “cose”, non devi farle. Questo ovviamente non si riferisce al fatto che tua madre ti dice di lavarti i denti […], si riferisce solo a certi adulti e a certi e cose.
Bene, ricorda solo una cosa: se puoi dire di no, puoi dire anche di si. Questo significa che se ti senti di fare qualche cosa ù, hai il diritto di farlo. Non importa quello che hanno detto i tuoi genitori. Perché è un diritto. Sei tu che puoi scegliere”.
Più avanti:
“Perché non devi raccontare nulla. Talvolta gli amici con i quali ti diverti ti dicono di non raccontare agli altri quello che avete fatto insieme. Questo capita spesso quando i tuoi amici sono degli adulti. Il motivo di ciò è semplice: se la gente scopre che hai fatto delle “cose” con un amico adulto (o un’amica), questo può farlo andare in prigione e rovinargli la vita. Specialmente se il tuo amico è un uomo, o anche solo un ragazzo più grande. Perciò il tuo amico ha paura.
A questo punto tu dovresti fare una scelta. Se senti che quella persona è stata buona e sincera con te e che non si merita di essere punita, dovresti aiutarlo e non raccontare a nessuno, nemmeno ai tuoi amichetti, quello che è successo. Prima di raccontare a qualcuno quello che è successo chiedi a te stesso: il tuo amico merita di andare in prigione? Può darsi di sì, ma per favore pensaci prima, o potresti pentirtene dopo.
Oh, c’è un’altra cosa. Sai cosa capita a te quando la gente lo scopre? Bene, vai in terapia. Terapia vuol dire che devi sottostare a qualcuno che cercherà di convincerti che tutto quello che hai fatto con il tuo amico è stata una cosa orribile e che il tuo amico stesso è una persona orribile.
Quindi pensaci molto bene!”.
Altri siti internet, come Pedophile Liberation Front, Boy love, Garçonnière, ecc., sostengono propositi espliciti di voler continuare la ricerca di compagnia dei bambini “per poter esprimere liberamente la propria sessualità”. Ma, se è vero che lievi contatti o frasi scherzose su parti del corpo dell’uno o dell’altro possono essere innocue, non altrettanto si può dire di carezze capziose, approcci subiti o addirittura dolorosi che vengono fatti a soggetti né consenzienti, né non consenzienti in quanto non sa che cosa sta per accadere. Non è affatto semplice, anche per i casi più “lievi”, stabilire ciò che è innocuo, piacevole o opportuno per un bambino nel rapporto erotico con un adulto e ciò che invece, non potendo essere integrato alle altre sue esperienze infantili, turba la gradualità del suo sviluppo, i ritmi della crescita, resta “incluso” nella sua psiche come un nodo irrisolto che potrà in seguito creargli dei problemi, tra cui quello di ricercare compulsivamente lo stesso tipo di rapporti che ha subito, perpetuando così, generazione dopo generazione, il ciclo dell’abuso. I punti cruciali di tutta la questione restano, da un lato, l’asimmetria tra adulto e bambino, ossia la disparità di potere e di consapevolezza che c’è tra l’adulto esperto e il bambino ignaro e, dall’altro, il grosso equivoco su cu si basano i contatti tra pedofilo e bambino, vale a dire il fatto che da un adulto che mostra interesse e disponibilità nei suoi confronti un bambino non si aspetta altro che protezione e supporto.
“ LA PORNOGRAFIA PEDOFILA”
In un pezzo scritto da un pedofilo, recentemente apparso su Internet col titolo La pornografia infantile, il grande orco cattivo, si sostiene che un bambino che recita un ruolo sessuale a fini pornografici sta svolgendo un “lavoro” e che, come qualsiasi altro professionista del settore, sa distinguere nettamente il reale dal rappresentato, senza subire alcuno shock per le scene che sta interpretando. La presenza dell’obiettivo della telecamera o della macchina fotografica sarebbe di per sé sufficiente a creare una “distanza di sicurezza”.
Scrive testualmente il pedofilo: ”Sembra che i bambini si divertano”. Un’affermazione che contrasta nettamente con quanto solitamente viene sostenuto da tutti gli studiosi che hanno visionato del materiale pornografico pedofilo, secondo i quali da questo genere di foto o di film traspare quasi sempre con netta evidenza il disagio e la sofferenza del piccolo “attore”.
Al contrario, l’autore dell’articolo sostiene che, nella maggior parte dei casi, il bambino passa dei momenti piacevoli, perché si sente del tutto a suo agio in quella situazione. Fornisce anche dei dati statistici (sic!) di quelli che a suo parere sarebbero gli stati d’animo più ricorrenti: il 25% dei bambini si divertirebbe e il 20% si immedesimerebbe addirittura nel ruolo di “attore”; ci sarebbe poi un 20% di bambini annoiati e un 15% di indifferenti o distratti; solo un 15% mostrerebbe contrarietà e solo un 5% spavento.
L’autore dello scritto, pur ammettendo che le foto e i video di recente produzione sono piuttosto violenti e che i volti dei bambini vi appaiano spesso come poco felici, si dice però certo che almeno il 50% di loro non dà segni di sofferenza o di coercizione. Ovviamente non spende una parola sul restante 50%…
Autori dell’articolo, apparso su Psicologia:
Anna Oliviero Ferrarsi: è Ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’università “La sapienza” di Roma. Psicologa, psicoterapista e saggista, da una decina d’anni conduce studi e ricerche sul rapporto che bambini e adulti instaurano con i mass-media e sulle forme di influenza che questi esercitano sul pubblico. In tale ambito ha pubblicato una serie di articoli, imparare la tv, comparsi su “Psicologia contemporanea” dal n. 128 al n. 135, 1995-1996. E’ autrice di numerosi saggi.
Barbara Graziosi: è psicologa ad indirizzo clinico, da circa tre anni collabora con Anna Oliviero Ferrarsi presso la cattedra di Psicologia dello sviluppo dell’università “La Sapienza” di Roma. Attualmente si occupa di prevenzione del disagio scolastico nell’ambito progetti-intervento.